Ha destato commozione in tutt'Italia la morte della bambina trentina Sofia Zago, 4 anni, uccisa dalla malaria. Al di là delle possibili responsabilità da appurare (un'inchiesta è stata aperta dalle procure di Trento, dove la bimba era stata ricoverata e di Brescia, dove è morta agli Spedali Civili), restano gli interrogativi umani, sui quali Vita Trentina offre la riflessione del biblista don Piero Rattin, delegato vescovile per la salute e parroco di Piedicastello dove abitava la famiglia di Sofia.
E’ pur vero che la morte di innocenti (provocata da violenze, naufragi o catastrofi naturali) non manca mai dalle cronache d’ogni giorno, al punto da favorire una specie d’assuefazione nella nostra umana sensibilità. Tuttavia, quando ciò accade tra noi, in famiglie che conosciamo e per cause patologiche imprecise (che al momento hanno solo il valore delle ipotesi), la cosa suscita sgomento, costernazione. Vorremmo farci vicini alla famiglia così duramente provata, ma… per dire che cosa? Sappiamo già, ancor prima d’aprir bocca, che le nostre parole di circostanza sono povere, incapaci di apportare vero sostegno o autentica consolazione. Del resto, coloro che sono direttamente coinvolti in situazioni siffatte (i familiari, in questo caso) hanno tutto il diritto a salvaguardare la loro riservatezza, quella privacy dignitosa che il tam tam mediatico – purtroppo – pare ancora lontano dal sapere rispettare.
E si affaccia l’interrogativo di sempre: perché la morte di bambini innocenti? Sia i non credenti che i credenti non possono far a meno di riproporselo. E sia per gli uni come per gli altri non esistono risposte preconfezionate: è più saggio far posto a quel pudore che induce al silenzio. Per tutti è la coscienza del limite quella che deve ridestarsi, se non altro per ridimensionare certa presunzione d’umana onnipotenza; per chi crede poi è l’umile consapevolezza che la luce della Fede non cancella affatto tutte le zone d’ombra o gli anfratti d’oscurità.
I credenti, in queste circostanze, devono ricordare ciò che non va detto, prima ancora che offrire con umiltà e discrezione ciò che può essere detto. La visuale, apparentemente religiosa, secondo cui sarebbe Dio a prendere, a portar via, a togliere la vita delle sue creature (soprattutto se nel suo sbocciare, come nel caso dei bambini), ha ben poco a che vedere con la fede cristiana, la quale – soprattutto a partire dal vangelo – presenta invece il volto di un Dio che, della vita, è sorgente: la dà, la ri-dà in pienezza quand’è troncata, e invece che far soffrire, solidarizza in pieno con chi soffre, al punto da provare lui stesso cosa voglia dire “morire da innocenti”. Quando tutte le nostre vie d’uscita si chiudono a vicolo cieco, lui apre la sua e accoglie con una tenerezza tale che la nostra, a confronto, è solo un pallido riflesso. Anche a un’esistenza che si conclude nel breve arco di quattro anni egli può offrire un futuro aldilà d’ogni immaginazione.
Una giornalista e scrittrice francese, ma anzitutto mamma di tre bambini, ha descritto in un libro ciò che ha provato alla perdita della sua primogenita di quattro anni; afferma in quel libro: “Io non credo che le prove siano date a quelli che le sanno sopportare… No, la sofferenza è là, su tutte le strade. E anche Dio, probabilmente, è là al nostro fianco, se lo vogliamo. Ciò che abbiamo vissuto, mio marito ed io, non lo auguro a nessuno, ma anziché rimanere confinati nella nostra disgrazia, siamo riusciti a farne qualcosa di positivo. In fondo, abbiamo voluto guardarla con dolcezza. Sì, si può avvolgere di dolcezza una disgrazia. Del resto, nessuna vita è assurda e senza senso quando si crede nella vita eterna. La nostra bambina diffondeva attorno a sé un’armonia inimmaginabile. Certo a quattro anni non sapeva tutto, ma nemmeno a ottant’anni si sa tutto. Tra quattro anni e ottant’anni c’è la stessa differenza che c’è tra un granello e un pugno di sabbia. Ma a livello della spiaggia no, non c’è alcuna differenza…” (A.D.Julliand, Due piccoli passi sulla sabbia bagnata. Trad.italiana in Ed.Bompiani).
Quando una famiglia sperimenta esperienze così laceranti, gli atteggiamenti davvero umani da assumere nei suoi confronti sono quelli del rispetto per la sacralità del dolore e della solidarietà più silenziosa che parolaia. Non certamente quelli degli avvoltoi o sciacalli di turno, pronti ad approfittare degli eventi più drammatici per trarre acqua al proprio mulino d’idee.
Un tempo, in passato, quando la mortalità infantile era molto diffusa anche in Trentino, la morte degli innocenti veniva segnalata dal campanò (divenuto poi abituale preannuncio delle feste di paese). La gente commentava: “Ora c’è un altro angelo in cielo”. Espressione ingenua per trovare in qualche modo conforto? O non piuttosto linguaggio semplice per affermare una verità d’inimmaginabile e perenne grandezza?
In ogni caso, non di una risposta si tratta, ma di un po’ di luce, sufficiente a far sì che l’oscurità non sia più soltanto tenebra fitta.
Don Piero Rattin
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