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Hanno preferito lavorare d’anticipo gli inquirenti. Davanti alle tre vittime di questa tragedia familiare, che Trento non registrava da anni, hanno cercato di evitare con i cronisti e le televisioni inviate da tutt’Italia qualsiasi riferimento ai particolari più delicati epperò insignificanti. Non hanno importanza, anzi potrebbero averne, soltanto nel creare quell’effetto emulazione che talvolta notizie di questo tipo provocano nelle persone più deboli e sofferenti.
E quando i magistrati – il dott. Marco Gallina e il dott. Pasquale Profiti, apparsi turbati loro stessi dalla notizia – hanno definito sorprendente quanto avvenuto in via della Costituzione e hanno utilizzato la parola incredulità davanti ad una situazione apparentemente normale, si è capito che resterà razionalmente inspiegabile quanto può aver portato l’operatore finanziario ad alzare la mano contro i propri figli. Il mistero forse di una sofferenza psichica esplosa davanti al bene più grande di un padre, e davanti al mistero anche le parole si devono fermare, lasciando spazio alla consolazione di chi resta: in questo caso la moglie, la figlia più grandi, i nonni.
Tutto il resto – compreso il tentativo di ambientare questa tragedia dentro il ridente ma ancora poco animato quartiere delle Albere – appartiene ai commenti e alle parole, appunto, che devono tacere davanti al mistero del dolore innocente.
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