“Così fermiamo chi mette odio nella Rete”

Parla la giornalista Mina Dennert, invitata a Trento per Smart City: “C’è un movimento mondiale contro l’odio nei social”

“Quando ero piccola, i neonazisti divennero popolari nella mia scuola, e riuscirono ad influenzare molti bambini. Furono molte le persone ad essere prese di mira, vittime di bullismo; anche io caddi in questa rete. È incredibile come, in circa 16 mesi, una scuola assolutamente normale si sia trasformata a causa di un gruppo di neonazisti”.

Così Mina Dennert, giornalista svedese d’origine iraniana, racconta in vista di Smart City a Trento, l’esperienza di un gruppo di persone che, pian piano, espande la sua influenza fino ad esercitare un potere considerevole sull’opinione pubblica: non si tratta di un episodio a sé stante, anzi.

Quello che Dennert nota, prima ancora della Brexit e della campagna per le elezioni presidenziali statunitensi, è infatti uno spiacevole incremento delle persone che condividono sui social “fake news” e parole d’odio, soprattutto nei confronti di politici e giornalisti, ma più in generale di tutti coloro che si espongono su tematiche quali diritti umani, immigrazione, femminismo, diritti LGBT ed ambiente. Nasce così, nel maggio del 2016, il gruppo Facebook #jagärhär (in italiano #iosonoqui), una vera e propria “online love army”, come è stata definita da “The Guardian”, ovverosia una comunità di persone che cerca di fermare l’odio diventato ormai virale in rete.

“Quando colpisci un politico o un giornalista, è forte il rischio che, per proteggersi, queste persone arrivino a smettere le proprie attività o ad auto-censurarsi”, è l’allarme che lancia Dennert.

Si tratta di un problema trasversale, come dimostra la proliferazione del gruppo in altri Paesi, sia all’interno (Italia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia, Germania, Francia, Regno Unito, Norvegia e Finlandia) che all’esterno (Canada, Australia, India e Stati Uniti) dell’Unione Europea. #Jagärhär conta quindi attualmente 75 mila membri a livello svedese e 150 mila globalmente.

I meccanismi all’interno del gruppo sono semplici; ogni persona può indicare i post di pagine pubbliche dove si condensano informazioni scorrette ed incitamento all’odio. È in quel momento che la comunità di #iosonoqui interviene. All’inizio si chiedeva ad alcuni utenti della rete di citare le fonti rispetto ad alcune affermazioni espresse; ora, invece, l’azione si concentra in particolar modo sulla difesa di coloro che sono presi di mira dai cosiddetti “haters”, gli odiatori che popolano internet.

“Si cerca di entrare nella discussione in modo non aggressivo, per non peggiorare la situazione. I moderatori del gruppo #iosonoqui si accertano del fatto che si stia realmente migliorando la discussione”, spiega Denners.

Non serve imbarcarsi in grandi digressioni; anche un semplice “mi piace” ad un commento di persone che, anziché diffondere cattiveria, cercano di promuovere un dialogo misurato e rispettoso può risultare in un’inversione di rotta rispetto al precedente tono della conversazione. È così, infatti, che si riesce ad invertire gli algoritmi di Facebook, che propongono come commenti più rilevanti sotto ad un articolo online quelli con maggior numero di “mi piace”.

“E’ stata condotta una ricerca che mostra come siamo riusciti a cambiare la geografia dei commenti”, racconta Denners. “Ci sono state anche delle persone famose che ci hanno contattati per ringraziarci del fatto che, dopo essere state bersaglio di discorsi d’odio, i membri del nostro gruppo le hanno difese. Le persone che hanno aderito al nostro gruppo, invece, hanno confidato di avere acquisito maggior coraggio nell’esprimere le proprie opinioni sia online che nella vita reale”.

Per dirla con le parole di Lucia, attivista digitale del gruppo #iosonoqui che si è raccontata a Io Donna, “bisogna credere nell’incredibile forza che hanno le parole civili del dissenso”.

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