L’apostolo delle genti, a spada sguainata. Incute un certo timore l’imponente statua di san Paolo all’ingresso della basilica papale eretta in suo nome 1700 anni fa, fuori le mura romane. Rammenta quell’uomo battagliero e focoso, prima intento a perseguitare crudelmente i cristiani, soprattutto da un punto di vista teologico, e poi strenuo difensore della ragione evangelica, al punto – scrive ai Galati – da annullare sé stesso per giungere a sentire Cristo vivere dentro di sé. Una militanza senza sconti, quella del primo vero missionario, la cui memoria viva aleggiava nelle parole e nei silenzi della prima Assemblea sinodale della Chiesa italiana, ospitata all’interno della basilica dove nel 1959 papa Giovanni XXIII ebbe l’ardire di annunciare la futura indizione del Concilio Vaticano II.
Location quindi carica di elementi evocativi, trasformata in un’inusuale sala assembleare: un grande quadrato con cento tavoli e dieci persone attorno, mille volti tutti alla pari, con il medesimo democratico pc portatile davanti agli occhi ma soprattutto (e per fortuna, considerate oggettive difficoltà tecnologiche) con lo stesso diritto di parola, indipendentemente dal ruolo gerarchico, fossero vescovi o laici, preti, diaconi o religiosi.
Alla statua sul sagrato fa eco, prima del presbiterio, una seconda versione plastica di Paolo ben più dimessa, con la spada abbassata e sulla parete dietro di essa, in lontananza, lo sguardo curioso di tutti i pontefici della storia immortalati in una serie di medaglioni. L’ultimo, quello illuminato, mostra Francesco che sembra quasi osservare quanto la Chiesa italiana abbia voglia di camminare con gambe proprie, solide, decise, sulla via del rinnovamento auspicata da Bergoglio già nel convegno ecclesiale di Firenze nel 2015.
Rabberciata, fragile, impaurita, a tratti litigiosa e permalosa. E dove una fetta di resistenza al cambiamento dettato dallo Spirito sinodale resta, e resterà, fisiologica. Ma non si armerà di spada, questa Chiesa, dove i cresimati erano un tempo chiamati i “soldati di Cristo”. Non lo fece nemmeno il Paolo defensor fidei, che piuttosto si lasciò colpire e decapitare. Di lui c’è da recuperare quella viscerale passione per Gesù di Nazaret che duemila anni fa lo portò a viaggiare come nessun apostolo prima e forse dopo di lui, per annunciare lo scossone di una vita visitata dal Vangelo. Da quella Parola rivoluzionaria, mai banale, controcorrente, spiazzante.
Una visione programmatica che ad oggi non rappresenta certo la chiave di lettura prevalente di quel Messaggio, forgiato nell’abbraccio d’amore della croce, senza se e senza ma. Ma un Annuncio che potrebbe trovare, a partire dalla gelida Roma di metà novembre, una spinta inattesa. Il seme gettato tra le colonne fuori le mura e sotto la potente immagine del Cristo misericordioso lascia intravedere che qualcosa sta cambiando. Non ci si piange addosso, tanto per cominciare, rievocando un’epoca trapassata. Ci si mette semmai a invocare, insieme, la fiamma di Pentecoste – icona biblica della fase profetica del Cammino sinodale – che qualcosa di straordinario in quel cenacolo di discepoli traditori e impauriti lo fece, eccome. Paolo quel giorno non c’era, ma può testimoniare che quello Spirito ti può rivoluzionare la vita.
Nel film super-premiato “Salvate il soldato Ryan”, Steven Spielberg racconta l’estremo tentativo dell’esercito americano di sottrarre alla morte il paracadutista ventiseienne James Francis Ryan, disperso dopo lo sbarco in Normandia, unico sopravvissuto di quattro fratelli tutti deceduti sullo stesso fronte. L’impresa riuscirà. E a una povera madre sarà restituito l’abbraccio di almeno uno dei suoi figli caduti per la patria.
La Chiesa, madre per la teologia, ha perso molti adepti: qualcuno trafitto in odio alla fede, molti in aperta contrapposizione a un’istituzione ritenuta inaffidabile e incoerente, altri ancora semplicemente per apatia e disinteresse. Ma la sua missione resta: il profeta di Tarso, caduto da cavallo, fu reso cieco alla vita di prima perché potesse aprire gli occhi in modo nuovo. Salvate il soldato Paolo.
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