“Ora il Signore vuole il sacrificio della mia vita. Dico il mio gioioso sì alla sua volontà. Gli ho offerto la mia vita per la pace del mondo e l’unità della Chiesa”. Si apre con queste parole l’ultima lettera di don Max Josef Metzger, ghigliottinato dai nazisti il 17 aprile 1944 a Brandeburgo sulla Havel, proclamato beato il 17 novembre 2024 a Friburgo dal card. Kurt Koch in rappresentanza di papa Francesco.
Un prete scomodo, precursore delle vie della pace e dell’ecumenismo. Nato nel 1887 a Schopfheim (Germania) esercitò il suo ministero dal 1915 al 1928 anche nella diocesi di Graz, in Austria.
Fin da giovane prete si era fatto coinvolgere nell’impegno sociale, in particolare a fianco delle persone dipendenti da alcol. La guerra fu per lui un’esperienza determinante. Vi partecipò inizialmente come cappellano militare, finché non contrasse la polmonite e fu rimandato a casa.
La riflessione sul senso della guerra portò Metzger a fondare diversi gruppi cattolici per la pace. Nel 1917 presentò a papa Benedetto XV un programma religioso internazionale per la pace, che pare trovasse l’approvazione del pontefice, che in quello stesso anno definì la guerra in corso una “inutile strage”.
Sempre nel 1917 Metzger fondò la Federazione mondiale per la pace della Croce Bianca (Weltfriedensbund vom Weißen Kreuz) e per due anni partecipò attivamente alla fondazione della Federazione per la pace dei cattolici tedeschi (Friedensbunds deutscher Katholiken).
Il nuovo beato si impegnò fortemente per il dialogo tra le Chiese cristiane e per il rinnovamento liturgico. Ispirato dalle parole di Gesù sull’unità dei discepoli (Giovanni 17) diede vita alla fraternità “Una Sancta” per la riconciliazione dei cristiani.
A portarlo in rotta di collisione con il regime nazista, tra le altre cose, il suo legame con l’idea di “Cristo re”. Anni prima dell’introduzione ufficiale della relativa festa (1925), si convinse fortemente della “regalità di Cristo”. Un motivo centrale della sua vita di fede personale, che racchiudeva anche un grande potenziale di critica al potere e alle ideologie che stavano prendendo piede.
Il suo impegno per la “realizzazione del regno sociale di Cristo nel mondo” lo rese sospetto di contiguità con socialisti e comunisti, anche per l’utilizzo da parte sua di espressioni mutuate dal linguaggio marxista come: “Cattolici di tutti i paesi unitevi! Viva l’Inter-nazionale cattolica!”.
Trasferitosi ad Augusta, la sua posizione pacifista e il suo rifiuto dell’ideologia nazista lo portarono definitivamente in conflitto con il regime di Hitler. Venne arrestato più volte e condannato a morte per alto tradimento in un processo-farsa tenutosi a Berlino nell’ottobre 1943. Ad aggravare la sua posizione fu soprattutto un memorandum sulla ricostruzione della Germania dopo la guerra, inviato a un vescovo svedese perché lo trasmettesse agli Alleati.
Il vescovo di Graz-Seckau, Wilhelm Krautwaschl, scrive in questi giorni che il nuovo beato è stato un personaggio “scomodo per la Chiesa stiriana”. L’impegno incondizionato di Metzger per la pace a Graz ha messo ripetutamente in imbarazzo i vertici della Chiesa dell’epoca, ammette il vescovo, tanto da costringerlo a lasciare l’Austria. Ma oggi la gente guarda a lui con piena gratitudine.
Il santuario di S. Ulrich presso Ulrichsbrunn è stato animato per decenni dalle suore della Società di Cristo Re della Croce Bianca. Ora sul sentiero che porta alla chiesa c’è una “pietra d’inciampo” che ricorda don Metzger. A lui è intitolata anche un’aula della Facoltà di Teologia Cattolica dell’Università di Graz.
Papa Francesco, all’Angelus del 17 novembre, ha ricordato il “martire, avversato dal nazismo per il suo impegno religioso in favore della pace”.
L’arcivescovo di Friburgo Stephan Burger, nelle stesse ore: “Che il nuovo beato possa intercedere presso Dio per la pace e l’unità, di cui oggi abbiamo urgentemente bisogno”.
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