L’arcivescovo Lauro Tisi in visita al campo profughi di Marco di Rovereto: “La situazione parla da sola: non si può vivere in 14 in un container”. Dalla Diocesi subito 22 posti letto a San Nicolò
Marco di Rovereto, 24 gennaio – “La verità è che qui viviamo come le pecore, tanto siamo neri e non importa a nessuno, siamo in 14 qui dentro: in sei sì, va bene, ma 14!”, sbotta Toure. Lui è uno dei 237 richiedenti asilo ospitati al campo di Marco di Rovereto. Ai primi di gennaio hanno fatto sentire la loro voce, lamentandosi per le condizioni in cui sono costretti a vivere. “14 in un container, e per mesi e mesi”, ripete Toure, che è qui dall’ottobre 2016 in attesa dell’agognato riconoscimento della protezione internazionale, all’arcivescovo di Trento, Lauro Tisi, che è voluto venire a conoscere di persona la situazione. Lo accompagna l’assessore provinciale alla salute e politiche sociali, Luca Zeni, che prontamente replica pacato: “Comprendo il vostro malessere, però il vostro disagio non è da imputare alla gestione del campo, ma alla convivenza in spazi ristretti per un tempo prolungato”. E sui tempi, la Provincia Autonoma di Trento lo ha ripetuto fino alla nausea, è possibile fare poco.
Dentro il container fa caldo, siamo in tanti: a fare da guida all’assessore Zeni e al vescovo Tisi ci sono il direttore provinciale della Croce Rossa Italiana, Carlo Monti, il responsabile del campo Tiziano, il dirigente del Dipartimento della Salute e solidarietà sociale Silvio Fedrigotti, il responsabile del Cinformi Pierluigi La Spada.
Mentre va in scena il confronto tra il richiedente asilo e l’assessore, sul tetto del container si sentono picchiettare gocce d’acqua: è la condensa che si raccoglie sotto l’enorme tendone che ripara i container e che finisce per ricadere a intervalli regolari, quasi a scandire il passare del tempo. Eppure, sembra che il tempo qui non passi mai. Tra i richiedenti protezione internazionale c’è chi è qui dall’autunno 2016, altri invece dai primi di gennaio 2017. Il confronto va avanti, e se non diventa un dialogo tra sordi è perché da entrambe le parti c’è la volontà di capirsi. Però la distanza resta. L’assessore Zeni fa presente che agli ospiti del campo è stato offerto di scegliere se trasferirsi a Trento, alla Residenza Fersina, struttura di prima accoglienza, ma che solo nove di loro hanno detto di sì. Il giovane della Guinea obietta che lui, come molti altri, a Rovereto frequenta la scuola: e come si fa a lasciare a metà anno quella che è una preziosa opportunità di formazione e integrazione? E Zeni ha buon gioco ad evidenziare la contraddizione: “Ma come, noi vorremmo alleggerire il numero di persone, ma ora mi dici che non volete andare via?”. Mica facile contemperare esigenze tanto diverse. “La situazione è complessa, ma la stiamo gestendo al meglio”, osserva l’assessore Zeni. “Su 1700 richiedenti asilo presenti sul territorio provinciale, circa mille oggi vivono in appartamenti, secondo un modello di accoglienza diffusa che favorisce l'integrazione”.
A fare problema sono le strutture più grandi, la Residenza Fersina a Trento e il campo di Marco, dove i numeri non aiutano a costruire percorsi di accoglienza e integrazione ancora soddisfacenti. Eppure, come ha potuto constatare il vescovo Tisi passando in rassegna gli spazi comuni – un’aula scolastica dove è in corso la lezione di italiano, la mensa, un locale ricreativo -, insieme al direttore della Caritas Roberto Calzà e a Cristian Gatti, direttore della Fondazione Comunità Solidale, le due realtà diocesane che gestiscono l’accoglienza dei migranti, gli sforzi degli operatori e dei volontari che vivono fianco a fianco con i richiedenti asilo vanno nella direzione di assicurare condizioni rispettose della dignità umana. Qui, ad esempio, gli ospiti si alternano nella preparazione dei pasti, collaborano alle pulizie, dispongono di spazi comuni. Resta quella che è stata chiamata la “vergogna” dei container, dove la dignità, prova a spiegarmi Terry, che viene dalla Nigeria, nel suo italiano stentato frammisto a frasi smozzicate in inglese, finisce all’ultimo posto: e mentre lo dice, solleva la coperta che separa il suo letto dal resto del locale e mi mostra le sue poche cose. “Indubbiamente qui a Marco la convivenza in spazi ristretti e per un tempo prolungato fa problema”, riconosce l’assessore Zeni. “Ma bisogna dare atto che le risposte che abbiamo saputo dare in termini di opportunità di formazione e di istruzione al di fuori del campo fanno sì che, paradossalmente, gli ospiti non accettino, o accettino con difficoltà, di spostarsi quando c’è un’alternativa. Per questo chiediamo ai richiedenti asilo una certa flessibilità, altrimenti il sistema non funziona”.
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