L’aiuto dei sopravvissuti

Come sostenere davvero i familiari colpiti da un suicidio e come possono loro stessi diventare risorse per altri

L'esperienza di Mons. Tisi: “E' importante non giudicare, ma stare accanto in atteggiamento di vero ascolto”

“Una catastrofe”, “un treno in corsa”, “un naufragio”. E' un dramma che si può lenire, ma che non si esaurisce nel tempo quello di chi ha visto una persona cara sprofondare nell'abisso del suicidio. Eppure, proprio chi è sopravvissuto può ancora essere di sostegno ad altri sopravvissuti, spendendosi in quell'opera di prevenzione contro il suicidio che oggi – statistiche alla mano – è ancora necessaria.

Questa delicata condizione è ancora spesso tabù privato, impone invece un coinvolgimento di tutta la comunità. Martedì sera presso la Fondazione Caritro, alla vigilia della Giornata mondiale dei sopravvissuti, l'AMA ha promosso un affollato convegno per rilanciare la formula dell'auto mutuo aiuto e anche il cammino compiuto con il progetto di prevenzione “Aiuto alla vita” avviato nel dicembre 2008: “ “titolava allora Vita Trentina. Per il referente dell'Azienda Sanitaria, lo psichiatra Renzo De Stefani, questo progetto d'avanguardia va proseguito perchè resistono ancora stereotipi duri a morire, come il cortocircuito – infondato dal punto di vista scientifico – che porta a collegare/identificare il suicidio con il disagio mentale.

La serata, condotta in un clima commosso da Sandra Venturelli, ha goduto della ricerca sociologica (ne parliamo a parte) condotta nel gruppo di Trento “Il dolore non è per sempre” con la formula illustrata da Aldo Pangrazzi: “Ogni persona ha il suo modo di amare e anche il suo modo di soffrire – ha spiegato l'apprezzato facilitatore – nel gruppo può esprimerlo liberamente, sentendosi ascoltato, compreso. Mai giudicato”.

Molto armonica è stata anche la testimonianza dell'arcivescovo di Trento Lauro Tisi, che ha usato parole attente, scaturite dalla sua esperienza nel campo. “Ancora oggi m'impegno a stare vicino a persone che ho conosciuto anni fa e ai loro familiari – ha confidato – Non posso abbandonare la loro storia di fatica”.

L'Arcivescovo ha osservato come i connotati di questo dolore – la rabbia, il senso di colpa (per quanto si è fatto o non si è fatto) e soprattutto la vergogna – portano i sopravvissuti a rinchiudersi, a isolarsi, dentro un contesto sociale poco attento a queste reazioni. A proposito mons. Tisi ha riconosciuto come in passato le istituzioni – anche la Chiesa – abbiano alimentato la colpevolizzazione drammatica del suicida e anche l'emarginazione della sua famiglia. “Se invece c'è una categoria di persone che considero tra virgolette cariche di umanità sono quelle che si sono tolte la vita – ha aggiunto: “Nelle persone che ho conosciuto dietro questo gesto c'era una profonda ma purtroppo irrisolta domanda di senso della vita, un altissimo bisogno di relazione non corrisposto, un fortissimo dolore”. Il fenomeno dei suicidi, secondo l'Arcivescovo che ne ha parlato nella sua Lettera pastorale, può essere considerato “anche un atto di accusa per un sistema di vita che spesso è disumano perchè non permette qualità di vita, momenti di tregua e di ascolto”.

E i sopravvissuti? Mons. Tisi ha invitato la comunità “a fare di tutto per togliere lo stigma verso questo gesto”, perchè tanti dei commenti che si sentono dire sui parenti dei suicidi sono “fesserie autentiche” che “vanno ad alimentare dolore su dolore”. “Sono pietre gettate sui sopravvissuti”, ha esclamato l'Arcivescovo, mentre bisognerebbe soltanto “porre il recinto del silenzio, in un grandissimo rispetto”.

Al contrario, va sviluppato l'atteggiamento dell'ascolto. Lasciar parlare senza intervenire. Favorire il racconto di quanto vivono. Non giudicare le reazioni. “Nella prima fase è giusto lasciar esprimere il grido di rabbia”, ha esemplificato l'Arcivescovo. E poi la determinazione a “rimanere accanto”, ad “esserci ancora” con una presenza forte di accompagnamento. “Impegniamoci a sdoganare questa grande sofferenza – ha aggiunto – sapendo entrare dentro queste realtà di dolore in punta di piedi”.

Infine, l'Arcivescovo ha indicato un altro passo possibile in cui sostenere i sopravvissuti: “Recuperare la positività della vita della persona cara suicidatasi, la sua vita non è in quell'ultimo segmento, non è identificabile in quel gesto disperato”. Ed è una gioia quando quel familiare comincia a raccontare di nuovo “il bello e il buono” di quel suo parente 'scappato avanti', senza lasciarsi bloccare dai meccanismi della rabbia, del senso di colpa e della vergogna”. Lo hanno confermato anche le testimonianze di quanti dentro il gruppo di auto aiuto sono stati di aiuto ad altri sopravvissuti.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina