La vicenda della nomina dei giudici della Corte Costituzionale, che spetta al Parlamento, non è fra quelle che avvincono l’attenzione dell’opinione pubblica, mentre è invece di assoluto rilievo. Innanzitutto perché la Consulta è sempre più una sede dirimente in un momento di relativa instabilità politica che alimenta controversie continue come è facilmente verificabile.
Poter contare su una Corte molto autorevole, anche oltre quanto le conferisce automaticamente la legge, è un elemento molto importante per poter contenere le continue rissosità fra sedi del potere pubblico, soprattutto in questo frangente in cui tutti, quale che sia la parte della barricata in cui si collocano, trovano costituzionalisti veri e costituzionalisti improvvisati pronti a sparare le più disparate e talora capziose sentenze. Si pensi anche solo ad alcune questioni che indubbiamente arriveranno davanti alla Consulta: da quelle legate ai referendum a quelle inerenti alla riforma Calderoli sulla autonomia differenziata (che si pongono già ora a prescindere dalla ammissione o meno del relativo referendum), a quelle che ci saranno ove arrivassero a diventare leggi costituzionali il premierato e il nuovo assetto del sistema giudiziario.
Basterebbe questo elenco per richiamare i politici a non indebolire la credibilità di quella Corte come avverrebbe con la designazione di giudici troppo evidentemente coinvolti come consiglieri dei capi partito oggi in carica. Non si tratta di dare a priori giudizi negativi su alcune personalità che sono messe in campo, ma semplicemente di ricordare che opererebbero con il carico di essersi già esposti a sostegno delle parti in causa nella attuale contesa politica.
Si obietta che così è stato più volte anche in passato, ma non è esatto. Pochissimi sono entrati in carica transitando direttamente dal ruolo di “consiglieri del Principe” a membri dell’organo di giustizia costituzionale. Lo smentisce, per fare il caso più evidente, la vicenda di Giuliano Amato, che è stato senz’altro un consigliere importante di Craxi, ha diretto governi politicamente orientati, ma è arrivato alla Corte molti anni dopo, quando Craxi era solo un ricordo e il suo peso nella politica attiva, anzi presso gli stessi vertici dei partiti, era più che inascoltato.
Il secondo aspetto da tenere presente, assai collegato col primo come vedremo, è il necessario convergere, salvo maggioranze bulgare che nel nostro sistema non ci sono, di forze sia della maggioranza che dell’opposizione. Nel caso specifico, vista la scarsa maturità della nostra classe politica che se non spartisce non sa dialogare, quella convergenza diventa possibile perché, pur forzando alcuni aspetti del quadro legislativo, c’è l’occasione a fine anno di nominare ben quattro giudici in sostituzione di uno già scaduto e di tre che finiscono il mandato.
Si è a lungo dibattuto dietro le quinte su come far quadrare la spartizione, dando qualcosa di più alla maggioranza, ma non troppo. Sembra in questi giorni, ma vedremo se la prospettiva tiene, che ci sia una propensione ad accettare uno schema originariamente proposto da Calenda, ma ora fatto proprio, si dice, sia da Meloni che da Schlein (le quali si guardano bene dal riconoscere i meriti di Calenda): due membri alla maggioranza, uno all’opposizione, un quarto da dare ad un indipendente “neutro” da scegliere di comune accordo.
Ci permettiamo di dire che per evitare che l’opinione pubblica giudichi questa soluzione come la solita divisione delle spoglie fra i capi partito a pro dei loro fedeli, è necessario che tanto i due membri indicati dalla maggioranza, quanto quello indicato dalle opposizioni siano figure esterne ai vari cerchi più o meno magici dei partiti. Non siamo così ingenui da non sapere che stiamo chiedendo una prova molto difficile.
Innanzitutto perché ciascuno dei due campi è una coalizione dove ogni componente, e spesso anche le loro divisioni interne in correnti, vuole avere “il suo”. Ciò sarà ancora più difficile per l’opposizione dove Conte non crediamo accetterà di cedere alle indicazioni del PD (e suggeriamo di evitare che per accontentarlo gli si consenta di scegliere lui il quarto indipendente: uno sport in cui l’avvocato è piuttosto abile visti i suoi agganci con l’alta burocrazia).
Altrettanto da evitare è la soluzione per cui per battere le resistenze interne a ciascun campo si faccia leva su un accordo fra Meloni e Schlein, in modo che ciascuna ottenga il posto per il suo consigliere giuridico. Non sarebbe un modo per mostrare la maturità di un sistema di partiti che sa anteporre le passioni di parte all’interesse generale delle istituzioni, ma solo per trovare una via per accentuare la presenza di uno scassato sistema partitico solidale solo se c’è da spartire qualcosa.
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