Con il Sì al referendum si rafforzano la democrazia italiana e l’autonomia trentina
Quale idea di democrazia c’è alla base della riforma su cui i cittadini si esprimeranno il 4 dicembre?
L’idea di una democrazia parlamentare, corretta da robuste iniezioni di democrazia diretta, a loro volta temperate da un rafforzamento pluralistico delle autonomie territoriali. Mi spiego meglio. Con la riforma, l’Italia resta una democrazia parlamentare, perché il Governo continuerà ad aver bisogno della fiducia del Parlamento. Ma della sola Camera dei deputati (come avviene in tutti i principali paesi europei) e non più anche del Senato. Viene così superato il difetto principale dell’attuale bicameralismo: il rischio elevato di avere due maggioranze diverse nelle due Camere, com’è accaduto in questa legislatura, con la conseguenza che il Governo può nascere solo da un accordo tra forze politiche e non da un chiaro mandato popolare. Con la riforma saranno i cittadini, già alle prossime elezioni, a decidere chi debba governare. Al rafforzamento della legittimazione diretta del Governo, fa da contrappeso il nuovo Senato, espressione del pluralismo istituzionale rappresentato da Regioni, Province autonome, Comuni.
Il superamento del “bicameralismo perfetto”: il nuovo Senato “federale” non rappresenta un doppione? Non apre la porta al rischio di un’“opposizione istituzionale” da parte dei rappresentanti delle Regioni?
È l’attuale Senato che è “un inutile doppione”, come ebbe a definirlo uno dei protagonisti dell’Assemblea Costituente, il costituzionalista di formazione cattolica Costantino Mortati. Il nuovo Senato colmerà invece una lacuna della Costituzione vigente: la mancanza di una Camera di raccordo tra Stato e autonomie. Questo nuovo Senato non avrà nessun potere di blocco della legislazione ordinaria e quindi dell’attività ordinaria del Governo. Ma il suo voto sarà vincolante sulle regole del gioco: la Costituzione, i trattati europei, l’ordinamento degli enti locali… Su questi temi, come è giusto che sia, la maggioranza politica che controlla la Camera non potrà procedere da sola, ma dovrà cercare il consenso del Senato, dunque della maggioranza delle Regioni.
C’è un punto della riforma che avrebbe cambiato nonostante il suo giudizio positivo sull’insieme?
La composizione del Senato. Avrei preferito che, come il Bundesrat tedesco, fosse espressione dei governi regionali e non dei consigli. Ma ci hanno accusato di voler mortificare le minoranze e quindi si è dovuti arrivare alla soluzione contenuta nel testo approvato. Una soluzione di compromesso, che segna comunque un grande passo in avanti rispetto alla situazione attuale.
La campagna referendaria non dovrebbe essere un terreno di scontro tra i sostenitori e i detrattori del governo: è d’accordo?
Certo. Il 4 dicembre dobbiamo dire Sì o No a un testo di riforma della Costituzione, non ad un Governo. Detto questo, dobbiamo anche tenere presente il contesto storico-politico nel quale il referendum si tiene.
Che giudizio dà del dibattito sviluppatosi intorno alla riforma costituzionale?
Non sono mancati gli eccessi, in particolare da parte del variegato fronte del No, che cerca di fare leva sulla paura: che la riforma metta a repentaglio la democrazia, o magari la nostra autonomia speciale… Al netto di questa cattiva propaganda, l’ampio dibattito sulla Costituzione, che sta coinvolgendo milioni di italiani, non può che fare bene alla salute della nostra democrazia.
Che scenario immagina per il dopo referendum, nei due esiti possibili?
Se vincerà il Sì, si rafforzerà la linea del cambiamento nella stabilità, se invece vincerà il No, avremo una nuova fase di incertezza e instabilità, della quale francamente non si avverte il bisogno.
Cosa farà nel tempo da qui al 4 dicembre per convincere chi non la pensa come lei a cambiare idea?
Continuerò ad incontrare i cittadini elettori, direttamente o attraverso i media, per presentare loro le tante buone ragioni di una riforma necessaria e utile: per la democrazia italiana e l’autonomia trentina.
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