Rame e derivati hanno consentito quest’anno di proteggere i vigneti dalla peronospora. Qualcuno chiede di sostituirli con altri prodotti di copertura. Da documenti del passato possiamo ricavare spunti per una discussione costruttiva
Non vi è dubbio che la stagione 2016 sia stata caratterizzata da condizioni climatiche particolarmente favorevoli alla peronospora della vite. A consuntivo si può costatare che l’impiego di prodotti a base di rame ha consentito di contenere e in molti casi evitare i danni della crittogama sulle foglie e soprattutto sui grappoli (peronospora larvata o vinazza).
Il risultato è stato però raggiunto accorciando gli intervalli tra i trattamenti ed aumentando la quantità di rame ad ettaro di vigneto fino ai limiti massimi che per necessità a metà stagione si sono dovuti elevare d’ufficio. Partendo da questi due fatti, c’è chi reclama la loro sostituzione e il ritorno o l’affiancamento ai rameici di altri prodotti di copertura.
Leonardo Pilati. enologo e direttore della cantina Rotaliana di Mezzolombardo, è convinto che il rame non resista al dilavamento provocato da 25 mm. di pioggia. Maurizio Bottura, agronomo responsabile dell’ufficio viticoltura della Fondazione Mach, nel “Manuale di viticoltura” pubblicato nel 2011 in collaborazione con i tecnici viticoli di territorio, attribuisce al rame una persistenza al dilavamento fino a 30-40 mm. di pioggia. Merita ricordare che Maurizio Bottura, in qualità di membro della commissione incaricata della formulazione del disciplinare di produzione viticola integrata volontaria e superiore che fa capo al Consorzio vini del Trentino, già due anni fa si era dichiarato contrario alla esclusione del più importante prodotto di copertura rappresentato dal Mancozeb.
Questo principio attivo è stato, nonostante le sue riserve, eliminato per suggerimento dell’ Istituto superiore di sanità sulla base di una dichiarata cancerogenicità. Non sarà facile trovare un’ altro principio attivo o formulato commerciale ad azione preventiva privo di rischio ed efficace.
A livello propositivo, nella eventualità che una qualche riunione di oggettivo confronto di opinioni e di dati si riesca a convocare in vista della nuova stagione viticola 2017, suggeriamo la lettura di alcuni documenti di anni o decenni passati che contengono elementi a nostro avviso utili per un sereno confronto.
Nel Bollettino del Consiglio provinciale d’agricoltura del 1922 (dicembre) si trova un articolo a firma Gramatica (Stazione sperimentale di S. Michele) intitolato “Risultati delle esperienze comparative con diversi preparati di rame nell’annata 1922”. I prodotti a confronto sono: rame colloidale Haen, rame colloidale List, polvere Caffaro, miscela cuprocalcica, rameina in polvere.
Nel numero di giugno di Terra trentina anno 1939 Giulio Catoni, direttore dell’ Osservatorio fitopatologico di Trento, in un articolo intitolato “La comparsa della peronospora” informa che sarà dato un premio al viticoltore che consegnerà la prima foglia con presenza di macchia d’olio (infezione primaria).
Frequenti pagine pubblicitarie a sostegno dell’Aspor (a base di Zineb), primo ditiocarbammato prodotto dalla Montecatini che ha liberato i viticoltori dalla schiavitù del rame, si trovano sulle pagine di Terra trentina del periodo compreso fra gli anni ’60 e ’80.
Non erano ancora note le conseguenze negative di un uso prolungato dello Zineb sull’equilibrio biologico del vigneto che al tempo era considerato solo fonte di reddito e non ecosistema.
Risale al 1988 la “Terza rassegna bibliografica su alcuni pesticidi impiegati in provincia di Trento” nella quale si trovano ben 30 pagine dedicate ai sali inorganici del rame. Un gruppo di esperti coordinati dalla Stazione sperimentale di S. Michele riporta una scheda completa da tutti i punti di vista sui prodotti oggetto di indagine, frutto di uno studio collegiale della bibliografia esistente all’ epoca. Pubblicata nel 2009 dalla casa editrice Vit.En. di Asti è disponibile una monografia intitolata “Peronospora della vite” che propone un compendio di articoli, schede e documenti riguardanti la crittogama a ed i mezzi di difesa usati per contenerla dalla prima comparsa alla fine dell’ ’800 al 2009.
Abbiamo lasciato per ultimo un articolo pubblicato su “Il seme”, mensile dito a cura della SAV di Rovereto nel 1971, firmato dal prof, Alverio Raffaelli presidente della più grande cooperativa agricola di primo grado del Trentino. Si intitola “Verderame di guerra”. Questo in sintesi il contenuto. Eravamo in piena guerra (giugno 1941), le vigne annunziavano un raccolto abbondante, ma mancava il verderame. Andammo a consultare l’Istituto agrario di S. Michele per una produzione di emergenza di solfato di rame. Dall’allora direttore dell’ Istituto e reggente del laboratorio chimico dal 1929 Camillo Marchi ottenemmo la formula per la produzione di solfato di rame trattando utensili di questo metallo con acidi forti ( nitrico e/o solforico) e soprattutto la consulenza continua in fase e esecutiva. Scegliemmo come luogo di operazione le Marocche di Castelpietra. Divulgata la notizia, alla SAV ci vedemmo afferire nel giro di pochi giorni ben 5.400 chilogrammi di paioli, scaldaletti, casseruole, bacinelle e caldaie di rame provenienti da tutta la Vallagarina ed anche da fuori. L’esempio fu seguito anche in altre vallate del Trentino. Alcuni operai subirono danni alla salute. Anche la morte di Camillo Marchi nel 1944 pare sia legata ai fumi velenosi assunti mentre prestava assistenza agli operatori.
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