Per le Caritas del Nordest prioritari gli sforzi per dare un futuro a una terra che dopo il terremoto rischia lo spopolamento
Nonostante il sole abbia fugato la nebbia che ci ha accompagnato ripetutamente nel viaggio, il freddo a Norcia resta pungente. E quando incontriamo Luciano, che dorme da settimane con la moglie in una roulotte a bordo strada (regalatagli da conoscenti emiliani) e si fa da mangiare in un box di metallo appena dentro il piazzale della sua azienda demolita dal terremoto, il pensiero che questa sia davvero una vita precaria è immediato e un po’ angosciante.
Il capannone è andato giù per buona parte, seppellendo quintali di legna e alcuni mezzi (gli altri si sono salvati grazie all’intuizione del figlio che, tra una scossa e l’altra, ha convinto il padre a portarli fuori).
Luciano ha 52 anni, da 30 giusti lavora e vende legna da ardere, attività complementare alla coltivazione di foraggi e mais che ha in collina. Ma oggi ha solo una roulotte e un box in cui passare le ore quando non è in giro a capire come riprendere il lavoro, quali contatti attivare, come ritornare a fare ciò che faceva prima.
E qui arriva la Caritas, che proprio nei giorni scorsi ha portato i documenti da firmare per costruire nel suo piazzale un “tunnel” ad uso magazzino, pagato coi fondi della Delegazione Caritas Nordest. Da gennaio si potranno ricoverare i mezzi, immagazzinare e lavorare la legna, sperando di trovare nuovi mercati (perché oggi gli abitanti di Norcia sono ridotti ad un migliaio, dai 5/6mila che erano prima del terremoto).
Sono i primi risultati che la Caritas di Norcia, gemellata con quelle del Nordest, sta ottenendo grazie ad una presenza puntuale e concreta di volontari e collaboratori (in città è stato di recente inaugurato il “presidio Caritas”: due prefabbricati, due tendoni e alcuni depositi sono diventati un grande centro di ascolto per la comunità). Non a caso per il presidio è stato scelto il sito della Madonna delle Grazie, storico luogo di incontro e formazione per moltissimi giovani umbri (e non solo) con un convento ora gravemente lesionato ed una chiesa che non esiste più.
La gente qui è tenace e orgogliosa e per buona parte si è auto-organizzata: camper e roulotte sono arrivati in fretta, alcuni grazie alla Caritas, altri grazie alla generosità spicciola di amici, parenti o semplici benefattori (di tante parti di Italia, a testimonianza che la solidarietà non ha confini). E poi le casette comprate o affittate da alcuni campeggi, che formalmente rappresenterebbero un abuso edilizio, ma su cui le istituzioni (che solo ora stanno posando i primi moduli abitativi per gli allevatori) cominciano a chiudere un occhio.
Ora arriveranno anche i tunnel come quello promesso a Luciano, strutture (considerate provvisorie ma che è facile immaginare resteranno per diversi anni) che possono costare dai 20 ai 40mila euro. Una decina di esse saranno a carico della Caritas, così da dare gambe ad un’economia in questo momento in grave difficoltà, ma soprattutto per dare futuro a questa terra che rischia lo spopolamento.
E forse in questo Natale, oltre ai profughi che scappano per il mondo, è giusto che un pensiero vada anche a queste persone, che vivono in un mondo che non c’è più, vittime (fino a quando?) di una precarietà che non deve diventare normalità, ma soprattutto che non deve trasformarsi in quieta disperazione e poi in disperata solitudine. Molti stanno già facendo la loro parte, ognuno può aggiungere un ulteriore tassello, a partire da una presenza fisica di volontari che nei prossimi mesi potrebbero andare a sostenere il lavoro di Rinaldo e Francesca, gli sposi che da un paio di mesi provano ad ascoltare e sostenere tutti coloro che hanno un bisogno e sono il segno della speranza nella terra di S. Benedetto.
Roberto Calzà
direttore Caritas di Trento
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