Una sera al Vigilianum a lezione dall’Imam

L’Imam Kamel Layachi durante il dialogo con Sara Alouani e Lucia Fronza Crepaz al Polo diocesano Vigilianum

È raro incontrare dei leader – anche nell’ambito politico o culturale – che siano riflesso di quella mitezza indicata a giugno dal vescovo Lauro come virtù umana prima ancora che evangelica. Lunedì sera l’abbiamo riconosciuta invece nell’atteggiamento pacato dell’Imam di San Donà di Pieve (Ve), il dott. Kamel Layachi, invitato come testimone al Polo diocesano “Vigilianum”: “Sono convinto che attraverso il dialogo interreligioso io mussulmano sono diventato un mussulmano migliore; così anche un cristiano diventa un cristiano migliore”. Una lezione da riprendere.

Giacca e cravatta (fa l’imprenditore in Veneto), testo del Corano sott’occhio e parlata lenta, quasi silenziosa: “Questa sera dobbiamo ringraziare Dio – è la premessa spiazzante dell’Imam – perché siamo qui non tanto per confrontarci a parole, ma per fare un’esperienza di vita insieme”.

Dialogando con Lucia Fronza Crepaz e con la giornalista Sara Alouani per l’ultima serata del ciclo missionario “Trentino chiama…Europa”, il dott. Layachi punta dritto al dialogo fra le fedi: “Rispetto a trent’anni fa le relazioni sono migliorate – rileva – . Alcuni Imam hanno seminato bene, oggi il dialogo interreligioso è parte integrante della nostra fede, non una mascherina per sembrare belli davanti agli altri”. E le donne – ritenute da un pregiudizio diffuso solo passive esecutrici hanno un ruolo trainante nel dialogo: “Ci sono fra noi guide religiose femminili e qualche ottima teologa come Nibràs Breigheche (la figlia del “trentino” dottor Aboulcheir Breigheche, con il quale Layachi opera da molto tempo nell’UCOI, ndr), ormai esperte nel gettare ponti di dialogo. E nell’educare i ragazzi mussulmani al pluralismo religioso che si vive oggi a scuola, dove il compagno di banco può essere un cristiano, un ortodosso o anche un buddista. Le sensibilità sono diverse e oggi le guide islamiche devono capire che il contesto italiano o europeo è diverso da quello di Marrakech o del Cairo. Così riflette a voce alta l’Imam, non dimentica i passi avanti. “Ci sentiamo mussulmani d’Italia e non in Italia – precisa – i primi nostri studenti universitari accolti bene qui a partire dagli anni Sessanta hanno maturato un forte senso di appartenenza all’Italia. Ci hanno trasmesso questo valore: in Italia possiamo sentirci a casa, non di passaggio. Non siamo i Tuareg d’Europa!”. Viaggiando il Triveneto nel suo servizio di Imam, il dott. Kamel riscontra nelle nuove generazioni una sete di Dio, anzi un desiderio di essere mussulmani coerenti – non solo per le parole o per i riti – nella vita quotidiana. Qualche difficoltà rimane sul piano logistico perché dover vivere in un capannone le proprie funzioni religiose è disagevole. E purtroppo lo Stato italiano non ha stabilito la prevista l’Intesa con le comunità mussulmane, valgono ancora le leggi del Trentennio fascista.

La lezione di Layachi sta anche nell’onestà di fare autocritica, soprattutto rispetto ad alcuni famosi “ismi”. “Il ritualismo, innanzitutto. ovvero il rischio – spiega – che il luogo di preghiera diventi un ghetto chiuso che separa i fedeli mussulmani dal resto della società, nonostante molti Imam illuminati lavorino per fare del Centro islamico (sono 1384 in Italia, ndr) un ambiente di formazione al volontariato sociale e alla cittadinanza attiva”. E racconta una serie di esempi virtuosi in cui i fedeli mussulmani collaborano (ad esempio con la “Banca del Tempo”) in un servizio alla città. “In fondo la religione si può sintetizzare così: l’arte di amare. Vedere nel volto del prossimo il volto di Dio”.

Per il secondo rischio, il nazionalismo, l’Imam tunisino intende il difendere gli interessi del proprio gruppo etnico o religioso, dare agli ambienti di culto un’etichetta nazionale. Pure gli impegni del digiuno o del velo vanno proposti ai giovani con gradualità: “Non deve esserci costrizione nella fede” dice il Corano.

Siamo al confine con la terza autocritica, il fondamentalismo, che l’Imam riconduce alla mancata comprensione che un fedele non è mai contro qualcuno, ma è sempre “per”. Apre la pagina del Corano: “Dio ci ha ordinato di essere giusti con tutti, anche con chi non la pensa con noi”. Il commento: “Con tutti dobbiamo parlare con amore, misericordia e umiltà. Non alzare la voce, se non siamo d’accordo. Come mussulmani d’Italia, ci diciamo negli incontri fra Imam, vorremmo diventare sempre di più una comunità di proposta e non di protesta. Riuscire ad esere artisti nell’abbracciare e nell’accogliere il diverso: così apriremo tanti cuori – aggiunge sottovoce – anche alla politica”. Mentre nel mondo cominciava un’altra notte di violenze, l’altra sera l’Imam ci ha lasciato una confortante lezione di mitezza e di speranza.

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