Senza occhi, aperti sulle meraviglie del mondo, il buio della cecità è una densa gettata di nero che non lascia filtrare alcuna luce e imprigiona in una dimensione in cui il corpo intero si tende in ascolto, reso obbligatoriamente più "elastico" dall'allenamento quotidiano al contatto con la rigida e immutabile oscurità nella quale si trova a navigare. Una vita sprofondata nel limite, condizionata e senza senso evalore se non può fare affidamento sul senso della vista. Ma c'è chi, invece, quel senso e valore lo ricostruisce, per istinto vitale, coraggio, tenacia e spiazzante – agli occhi di chi, normale, a volte guarda senza vedere – abilità di conquistare momenti in controluce dove il buio risalta, ma per mettere in evidenza la luce della forza interiore. Quella che emerge dalla raccolta di racconti dedicati alla cecità, intitolata appunto "Controluce", scritti da Mauro Marcantoni, sociologo e giornalista non vedente da più di vent'anni che dal 1999 dirige l'Istituto per l'assistenza allo sviluppo aziendale (Iasa) di Trento e dal 2007 dirige Tsm-Trentino School of Management.
È il limite, non negato ma affrontato e continuamente esplorato, il filo conduttore degli undici racconti, annunciati da parole-chiave – Perdita, Incertezza, Paura, Sfida, Aiuto, Ribellione, Identità, Consapevolezza, Apertura, Orgoglio – che sembrano indicare un movimento in crescendo tra immersione ed emersione, alla ricerca di un equilibrio difficile da raggiungere ma possibile, come sottolineato durante la presentazione svoltasi nella biblioteca comunale di Trento giovedì 23 giugno insieme al filosofo e giornalista Armando Massarenti, responsabile del supplemento culturale Il Sole 24 Ore-Domenica, e le letture di Michele Comite accompagnate dall’arpa di Silvia Cagol.
A differenza, infatti, dei due libri precedenti più espliciti sulla cecità – "I ciechi non sognano il buio" (Franco Angeli, 2008) e "Vivere al buio" (Erickson, 2014) quest'ultimo prezioso volumetto mette in evidenza un aspetto universale della condizione umana. Anche per chi ci vede, trovarsi in controluce impedisce di distinguere bene i contorni delle cose e obbliga a riparare gli occhi per non lasciarsi accecare dall'eccessiva luminosità che limita la visione, rendendola parziale o ingannevole. Fuor di metafora, l'autore tiene a precisare che viviamo in un tempo di incertezza che riguarda tutti, e ostacoli e difficoltà indicano semplicemente che il limite è il tessuto normale della condizione umana e tratto fondante dei tempi in cui viviamo. L'intreccio, tuttavia, dipende da noi: "Occorre concentrarsi su ciò che è possibile per non condannarci all'impotenza e perdere la partita ancor prima di averla giocata: il mestiere di vivere richiede ottimismo e consapevolezza che la realtà è simile ad una palude, che a volte tiene e a volte cede, e occorre essere pronti ad adattare il passo. Un cieco – ha proseguito Marcantoni – non può copiare i vedenti e chi vede non deve imitare gli altri: dobbiamo partire da quello che siamo, con realismo, ma, se vogliamo crescere, la vita deve essere trasgressione, rottura di schemi prestabiliti e ognuno di noi deve compiere uno sforzo di creatività".
Il racconto è scelta letteraria che dà forma a materiale autobiografico e, al tempo stesso, offre ritratti di vite e storie che finiscono sempre con il lieto fine, rispecchiando l'ottimismo dell'autore e la convinzione che affrontando "il dritto e il rovescio" della vita, si possa essere felici. Non da soli, però: "La comunicazione è scoperta reciproca continua, il riconoscimento, di me stesso e dell'altro, è un'operazione in divenire". È ciò che emerge nella storia con cui si apre il libro: Elio vuole iscriversi ad un corso di teatro e all'inizio sconta la diffidenza degli altri, ma poi sarà lui a diventare guida del gruppo, mostrando che la ricerca di dialogo reale, sincero, non può che basarsi sulla fiducia reciproca. L'equilibrio nel rapporto con gli altri è dunque meta da perseguire tanto quanto l'autonomia individuale, e se Marcantoni racconta di sé e del rapporto con la moglie Laura senza sconti, il lettore sente che, di fronte a qualcosa di irrisolvibile, prevale la capacità di non lasciarsi vincere dal limite. E, pur in controluce, si va incontro alla vita: "Non è facile – dice la protagonista di un racconto – da sostenere l'incertezza che sperimento ogni giorno, ma devo imparare a gestirla se non voglio rinunciare alla mia autonomia. Così, quando cado mi rialzo, impreco un po' e riprendo il cammino".
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