“È crollata la diga”, lo dice il telefonino

Il lago e la diga di Pian Palù, in valle di Peio. Sotto, la sala operativa della Protezione Civile trentina

Per due volte, nel corso delle scorse settimane, il nostro telefonino ha prodotto un suono particolare, insistente, diverso da quello della consueta e personale suoneria. Non era il richiamo di una telefonata in arrivo, né la notifica di un messaggio, nemmeno il suono della sveglia. Piuttosto, uno squillo continuo, persino fastidioso, che non poteva essere ignorato. Del resto, proprio questo era l’obiettivo: catturare l’attenzione di ciascuno, fare in modo che, qualsiasi cosa si stesse facendo, si prestasse subito attenzione allo smartphone. Si trattava, infatti, di un messaggio di allarme lanciato dalla Protezione Civile: per fortuna, solo un’esercitazione per mettere a punto il sistema di comunicazione e per rendere consapevole l’intera popolazione di cosa potrebbe accadere nel caso di una reale emergenza.

Ciò che un tempo era rappresentato dal suono a martello delle campane – una successione di rapidi rintocchi per avvisare tutta la comunità che c’era una situazione di allarme – oggi avviene attraverso lo strumento che tutti – o quasi – abbiamo alla portata di mano. Secondo il recente rapporto del Censis sulla comunicazione, nove cittadini su dieci (88,2 per cento) sono in possesso di quello che comunemente viene ancora chiamato “telefonino” ma che serve ormai a tante cose e solo qualche volta anche a telefonare. Non c’è, insomma, strumento più adeguato a raggiungere in tempi rapidi la quasi totalità delle persone.

C’è ovviamente chi si è lamentato: i social, in questi casi, diventano cassa di risonanza per complottisti e persone dalle corte vedute. “Come hanno fatto ad avere il mio numero di telefono?”. E ancora: “Ecco la dimostrazione che siamo tutti controllati”. Sino al definitivo: “Devo trovare il modo di disattivare questi messaggi, anche perché non ho dato alcun consenso”. Che l’Italia sia un Paese dove, anche in questo settore, prevalgono indifferenza e disincanto, lo certificano i dati delle simulazioni di evacuazione promosse nella zona dei Campi Flegrei (una delle zone a più alto rischio per possibili emergenze): sabato scorso, la partecipazione attiva di mille persone, al terzo tentativo, è stata giudicato un successo.

Due precisazioni tecniche: “It-Alert” è operativo in Italia dall’inizio del 2024 e a livello regionale si stanno organizzando le esercitazioni per evidenziare eventuali criticità del sistema e per consentire alla Protezione Civile di mettere a fuoco i meccanismi per un intervento rapido ed efficace. Ogni esercitazione ha proprio questo obiettivo: essere pronti in caso di necessità.

I messaggi di allarme non vengono indirizzati ad uno specifico elenco di numeri telefonici, ma viaggiano attraverso “cell-broadcast”: tutti i telefonini accesi (e dunque collegati ad una cella della rete di telefonia mobile) sono raggiunti dalla comunicazione. Ciò prescinde dal gestore, dal numero telefonico e dalla residenza. L’obiettivo è di raggiungere tutti i dispositivi presenti, anche casualmente, nell’area interessata.

In Trentino, nelle ultime settimane sono state effettuate due esercitazioni: la prima, il 26 settembre, ha interessato tutto l’ambito provinciale. L’allerta simulata era relativa ad un presunto incidente nucleare in Europa. Il secondo, il 7 ottobre, riguardava invece l’ipotesi di collasso della diga di Pian Palù nel comune di Peio. In questo caso, il messaggio di allarme simulato è stato inviato solo alle persone presenti (e con telefonino acceso) nelle valli interessate dal possibile disastro. Una terza esercitazione è già programmata per fine ottobre e riguarderà l’ipotesi di un incidente industriale. Le tre situazioni di emergenza simulata in Trentino non sono frutto della fantasia di qualche dirigente della Protezione Civile. Si tratta, invece, di tre casi esplicitamente previsti dalla direttiva nazionale. Sui social ci sarà, ovviamente, chi continuerà a lamentarsi per questo “disturbo” della propria serenità, per la violazione della propria privacy (“vuol dire che sapete dove mi trovo”) e qualcuno, polemicamente, chiederà anche il conto in termini finanziari di questo tipo di esercitazioni. Anche in questo caso, come troppe altre volte, si potrà pensare ad Umberto Eco che sentenziò: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.

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