Un Regno che non è di questo mondo

Illustrazione di Fabio Vettori

24 novembre 2024 – Domenica XXXIV Tempo Ordinario B

Dn 7,13-14; Ap 1,5-8; Gv 18,33b-37

«Il mio regno non è di questo mondo… il mio regno non è di quaggiù». Gv 18,38

Il dialogo tra Gesù e Pilato riportato nel vangelo di questa domenica è uno dei brani tra i più adatti per comprendere attraverso la regalità di Cristo l’autentico significato del “potere”. Infatti, vengono messi a confronto due poteri, quello umano/mondano impersonato da Pilato e quello umano/divino impersonato da Gesù Cristo.

Il potere umano/mondano, rappresentato da Pilato, sembra preoccupato principalmente di autoconservarsi. È ciò che si coglie nell’andamento del processo a Gesù. Pilato per paura di essere accusato di tradimento condannerà Gesù: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare» (Gv 19,12). La paura di perdere il potere diventa la spinta ad un esercizio del potere (e ad un sistema di potere) ingiusto e oppressivo, che pur di conservare se stesso non bada ai mezzi da usare e trasforma i morti in “danni collaterali”. Si pensi anche agli altri potenti del vangelo: Erode il Grande al tempo della nascita di Gesù comanda una strage di bambini nella zona di Betlemme, unicamente per paura che tra i neonati ci sia uno che possa prendere il suo posto. E suo figlio Erode Antipa (buon sangue non mente) fa uccidere un profeta, Giovanni Battista, seppur con dispiacere (!), unicamente per non dimostrarsi debole di fronte al capriccio della nipote manipolata dall’amante, al fine di mantenere una promessa fatta in evidente stato di scarsa lucidità mentale (Mc 6,17-29).

Il potere umano/divino, incarnato in Gesù, è preoccupato unicamente di «rendere testimonianza alla verità» (Gv 18,37). Anche qui occorre però intendersi: Gesù non rende testimonianza alla verità in senso debole, limitatamente giuridico o morale. Gesù non è uno che si limita a «dire la verità» all’interno di un processo o di fronte a una situazione. Gesù è la Verità (Gv 14,6); tutta la vita di Gesù e tutta la sua persona è «piena di grazia e di verità» (Gv 1,14) ed è «testimonianza della verità». Lo è in modo speciale la sua passione, morte e risurrezione. È questo il punto di vista dell’evangelista Giovanni e del Libro dell’Apocalisse: «Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra» (Ap 1,5). Gesù stesso identifica il proprio potere con il servizio; un potere così diverso da quello opprimente dei potenti di questo mondo: «il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (cfr Mc 10,42-45). Nell’ultima cena fa proprio – pur tra le proteste dei discepoli – il «servizio» di lavare i piedi, simbolo di una purificazione più profonda che Egli compirà lavando le nostre coscienze nel suo sangue (cfr Eb 9,14 e Eb 10,22), cioè dando la vita per noi. Questo potere/servizio non teme di essere spodestato, al contrario vuole essere partecipato: «Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue» (Ap 1,5) ci ha trasformati in «un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Ap 1,6).

In virtù del battesimo che abbiamo ricevuto anche noi partecipiamo alla Regalità di Cristo, che non è di questo mondo; eppure, si esercita in questo mondo attraverso il servizio. Questa solennità è anche l’occasione necessaria per pregare per coloro che detengono, oggi, il potere in questo nostro mondo, perché non si ispirino al cinismo indifferente, ipocrita e vile di Pilato ma imparino dal Cristo a essere a servizio della verità e della giustizia, della persona umana e del bene comune, della riconciliazione e della pace, fino a dare per questo la propria vita.

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