10 novembre 2024 – Domenica XXXII Tempo Ordinario B
1Re 17,10-16; Eb 9,24-28; Mc 12,38-44
«Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». Mc 12,43-44
Le letture di questa domenica ci aprono ad un atteggiamento che incarna concretamente il duplice amore di Dio e del prossimo: quello del donare. Nella prima lettura e nel vangelo tale atteggiamento è esemplificato da due figure femminili, che hanno in comune la caratteristica dell’essere vedove. Questa annotazione fa meglio risaltare la grandezza della loro fede da un lato e la generosità del loro cuore dall’altro: per tutta la Bibbia le vedove sono infatti una delle categorie sociali meno garantite, non hanno né difesa né ricchezza. Nella seconda lettura l’atteggiamento del donare è incarnato da Gesù che ha offerto se stesso allo scopo di prendere su di sé i nostri peccati.
Da queste letture emergono alcuni elementi rilevanti per una corretta spiritualità del dono e per una prassi cristiana coraggiosa. Il donare diventa espressione della nostra fede in Dio e del nostro amore per lui (prima lettura e vangelo): entrambe le vedove fanno scelte obiettivamente rischiose, perché entrambe donano ciò che avevano per vivere e non il superfluo. Lo fanno perché hanno fede in Dio e nella sua Parola, perché vogliono manifestare il proprio amore a Dio e perché la fede e l’amore fanno nascere nella loro coscienza una solida speranza che Dio si prenderà cura di loro. Quando anche noi cominciamo a vivere con questa consapevolezza cambia il nostro rapporto con la vita e con il prossimo, perché la fiducia in Dio ci spinge a forme di condivisione radicale e anche al dono di noi stessi. Se manca questo orizzonte di fede continueremo a dare solo il superfluo e a dare per farci notare, come gli scribi e i ricchi che Gesù stigmatizza (cfr. vv. 38 e 41 del vangelo di questa domenica).
In secondo luogo, il donare sa andare al di là degli steccati etnico-religiosi: la vedova della prima lettura non è israelita, è (probabilmente) una pagana di Zarepta di Sidone! Per questo tipo di donazione occorre saper vincere i propri pregiudizi e anche un malinteso senso di appartenenza etnico religiosa. Ringrazio Dio che in questi anni di crisi economiche, pandemie e guerre i miei confratelli di Terra Santa (in Siria e Libano, in Israele e Palestina ma anche a Cipro e Rodi) hanno cercato di aiutare tutti senza mai discriminare a motivo della loro etnia o religione. In terzo luogo, stando alle parole di Gesù, il donare che Dio apprezza è quello gratuito e non quello che si attua per promuovere la propria immagine o i propri affari. Dio ama chi agisce secondo la logica del «non sappia la tua destra ciò che fa la tua sinistra». La gratuità è la migliore verifica dell’autenticità del nostro donare.
Infine, il donare autentico diventa manifestazione del dono di sé (seconda lettura); è esattamente quello che fa Gesù Cristo in croce: privato di tutto, anche delle vesti, altro non può donare che se stesso ed è quello il dono, quella l’offerta che trasforma la nostra esistenza. Ogni dono sincero e gratuito manifesta il nostro desiderio di donare noi stessi in comunione col Cristo. Ogni nostro atto di donazione rivela quindi che Gesù Cristo è davvero vivo in noi e che la nostra immersione battesimale nella sua Pasqua non solo ha trasformato ciascuno di noi in termini personali, ma ha realmente dato inizio a un mondo nuovo.
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