Le braccia e il cuore dei Trentini

La Diocesi di Trento, guidata dall'arcivescovo Alessandro Maria Gottardi, si mobilitò fin da subito

Davvero i Trentini possono dire di essere stati “le braccia di Cristo”, di quel Cristo mutilato del Duomo di Gemona che divenne il simbolo del Friuli colpito dal terremoto ma anche dell'impegno generoso di tantissimi volontari, che ridiedero speranza a quella terra. Titolò proprio così, “Siamo stati le braccia di Cristo”, il nostro settimanale in occasione del 20° anniversario dal terremoto del Friuli, accompagnando un bel gruppo di trentini a Moggio Udinese, uno dei paesi più colpiti, che all'indomani del sisma si gemellò con il Trentino. Con loro anche piemontesi, svizzeri, austriaci del vicino paese di Wllach, i primi ad accorrere fin dalle prime ore della tragedia. Alla gara di solidarietà presero parte alpini, vigili del fuoco, tecnici della Provincia Autonoma di Trento e tanti cittadini comuni.

La Diocesi di Trento, guidata dall'arcivescovo Alessandro Maria Gottardi, si mobilitò fin dalle prime giornate per correre in aiuto alla Chiesa sorella del Friuli. Sotto l'attenta regia della Caritas diocesana, di cui era allora direttore don Tullio Endrizzi, 250 parrocchie trentine si gemellarono con 350 famiglie di Moggio Udinese. Gli anziani del paese furono ospitati a Casa Santa Maria, a Vigolo Vattaro. La solidarietà si indirizzò anche verso altre realtà altrimenti dimenticate, come Cergneu, piccola frazione del Comune di nimis, “adottata” dalla parrocchia di Ravina di Trento. “Nacque in quel momento – scriveva su Vita Trentina don Tullio Endrizzi – un risveglio di fraternità umana e cristiana, che pareva ormai perduta”.

A dieci anni dal terremoto, dei 2.300 abitanti del paesino 400 ancora abitavano nelle casette prefabbricate, assistite dall’abate mons. Adriano Caneva, che operava dalla sua canonica-container; ma il 90% del paese era ormai stato ricostruito. Ma soprattutto, ricorderà in occasione del ventennale del terremoto proprio mons. Caneva, erano stati ricostruiti i rapporti umani, “grazie soprattutto all’opera dei volontari”, che non avevano lasciato soli i moggesi. Nel primo anno dopo il terremoto furono decine e decine i volontari dal basso Trentino, dalla val di Non, dalla valle di Sole, dalle parrocchie di Trento a fare la spola fra il Trentino e il Friuli per dare il cambio a chi era impegnato nell’opera di ricostruzione. Furono una presenza e un aiuto, ricordava a vent’anni dal terremoto il sindaco della ricostruzione, Leonardo Farabosco, sulle pagine di Vita Trentina, che restano come testimonianza di grande generosità capace di dare vita a rapporti di grande amicizia tra popolazioni affini. Mentre per il sindaco del terremoto Carlo Treu quel gemellaggio fu “il balsamo che ha vivificato gli animi e rinforzato la fiducia nella rinascita fra la nostra popolazione”.

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