La figlia Caterina a Trento ricorda il padre ucciso dalla mafia
"È stato uomo del cambiamento, lungimirante nel suo lavoro e difensore della legalità fino al sacrificio della vita e proprio per l'incisività della sua azione di contrasto, la mafia decise di fermarlo con una modalità nuova, eclatante, che doveva servire da monito per gli altri magistrati e anche per i cittadini". Caterina Chinnici ha ricordato così il padre, il giudice Rocco Chinnici, assassinato il 29 luglio 1983 con un'autobomba che uccise anche gli uomini della scorta e il portiere dello stabile dove abitava, nell'incontro di presentazione del libro a lui dedicato "E' così lieve il tuo bacio sulla fronte. Storia di mio padre Rocco, giudice ucciso dalla mafia" (Mondadori, 2013), svoltosi venerdì 5 febbraio a palazzo Trentini, in una sala gremita, a Trento. L'incontro, promosso dall'Associazione Nazionale Magistrati del Trentino Alto-Adige e dall'Istituto di Istruzione Marie Curie di Pergine Valsugana, era stato anticipato in mattinata dalla testimonianza offerta agli studenti nell'ambito del progetto "Educazione alla legalità in classe".
"Sono stato in una scuola a seminare legalità. Non so se la pianta crescerà, ma nessuna pianta cresce senza seme", diceva Chinnici e la figlia primogenita ne ha seguito le orme, diventando magistrato a soli 24 anni, il più giovane a essere nominato a capo di un ufficio giudiziario, anch'essa impegnata nella lotta alla mafia, a sua volta sotto scorta.
"Da sei anni proponiamo un percorso culturale nelle scuole per essere ponte tra la memoria e le nuove generazioni", ha detto il presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati regionale Pasquale Profiti dopo il saluto del presidente del Consiglio provinciale Bruno Dorigatti. "Caterina Chinnici continua a spargere il seme della legalità con la sua opera di magistrato, europarlamentare e anche con la scrittura", ha aggiunto la dirigente dell'istituto Marie Curie Flavia Andreatta.
"Gli venivano riconosciute umanità e rigore nell'applicazione della legge e mio padre viveva il suo lavoro come una missione di vita, ascoltava e confortava tutti. Fu il primo a intuire la necessità di creare un gruppo di lavoro per condividere conoscenze e distribuire i rischi, quello che, dopo la sua morte, venne chiamato pool anti-mafia, il primo a rapportarsi con la polizia giudiziaria, a sostenere e difendere la legge Rognoni-La Torre, a partecipare a dibattiti televisivi e a incontrare gli studenti nelle scuole". Da tempo era nel mirino proprio per la portata innovativa del suo impegno e la forza di modificare sensibilità e cultura nei giovani: "Nel settembre dell'82 la mafia uccise il generale Dalla Chiesa e quando ricevette la notizia, io lessi nei suoi occhi la certezza che lui sarebbe stato il prossimo. Gli assassini usarono l'autobomba perché devastandone il corpo volevano distruggerne anche la memoria".
Nonostante l'impegno della magistratura, che poi ha scoperto e condannato i mandanti, permane sempre un cono d'ombra nelle indagini che impedisce di fare chiarezza: "Il 16 luglio, un informatore della polizia avvisò che stava arrivando un carico di esplosivo e il 26 telefonò di nuovo per dire che ci sarebbe stato un attentato. Mio padre in quel momento era il più esposto, ma nessuno lo informò né gli suggerì di cambiare abitudini".
L'incontro è stato moderato dal giornalista Mario Valentino, con letture tratte dal libro di Ugo Baldessari.
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