L'apertura della nuova struttura provinciale in via al Desert (la “Residenza Fersina”, nelle foto di Zotta) ha consentito di dare una risposta dignitosa ai previsti arrivi di profughi assegnati al Trentino. Il “piano” per la prima accoglienza oltre alle ex caserme può puntare su altre strutture (compresa quella di Marco di Rovereto, “riconvertita” a nuove funzioni) che dovrebbero così garantire la gestione di un percorso ordinato per chi cerca finalmente un letto e un tetto dopo mesi e mesi di esodo sofferto, spesso angosciante.
Ma al termine di questa settimana politica che ha registrato l'inquietante intenzione austriaca di rialzare barriere al confine del Brennero è opportuno anche dare spazio all'analisi del fenomeno immigrazione (vedi gli ultimi dati, sopra) e a qualche prospettiva di lungo periodo.
Ricorrendo alle sue radici solidaristiche e al suo volontariato capillare il Trentino ha saputo infatti a partire dal 2011 trovare via via soluzioni dignitose per l'accoglienza. Una rete di pubblico e privato sociale, in cui le comunità ecclesiali sono in prima linea (vedi “Canoniche aperte” gestito da Caritas e Fondazione Comunità Solidale (vedi pag. 34), che è riuscito ad alleviare il viaggio senza meta di tanti ragazzi nordafricani o mediorientali. Molti dei 2 mila giovani arrivati dal 2011 in poi sono ripartiti, ma altri hanno potuto lentamente riprendersi, imparare l'italiano di base e apprezzare anche il calore di tante comunità trentine.
Mentre la prima accoglienza “preme” ancora, ora però sale da parte degli stessi volontari un invito a non fermarsi, ma a ragionare su quella che si potrebbe chiamare la “seconda accoglienza”, la fase di chi, soprattutto dopo aver ottenuto permesso di soggiorno o protezione internazionale vorrebbe inserirsi in Trentino.
“E' decisivo cominciare a guardare al ‘dopo’ – spiegano a Vita Trentina Sandra e Stella, due fra le volontarie più impegnate da qualche anno nei progetti legati alla prima accoglienza – perché constatiamo che si apre un periodo di difficoltà nuova per i profughi accolti nelle realtà trentine”. Una grande maggioranza fa molta fatica a trovare lavoro più stabile e le risorse economiche che potrebbero offrire una soluzione abitativa. Una fatica improba, a parte i pochi che possono contare su un supporto familiare dal Paese d'origine o su un legame costruito in Trentino.
Si tratta di giovani sani, volonterosi – spiegano i volontari – che sarebbero disposti a fare ogni tipo di occupazione ma che, a parte forse qualche stagionalità, non riescono a lavorare. Per molti c'è anche l'ostacolo della patente di guida, per tanti la conoscenza insufficiente della lingua anche solo per “cercare”.
Una situazione ineluttabile? Bisogna rassegnarsi al fallimento di un'integrazione seppur lenta? Assolutamente no, dicono i volontari che anche da queste pagine invitano a favorire un confronto e un coordinamento delle forze anche nella seconda accoglienza (per evitare qualche spiacevole sovrapposizione o contrasto fra le stesse realtà di accoglienza), ma sopratutto di una volontà condivisa di farsi carico di un inserimento di lunga durata nel territorio trentino. “Dobbiamo prendere atto che, nonostante l'impegno di tutti, – osservano i volontari – non abbiamo ancora trovato le risposte adeguate nel lungo periodo. E che quindi è importante cominciare a ragionarci da subito, senza attendere la stabilizzazione degli arrivi, realtà che appare sempre di più in movimento”.
Una delle dimensioni raccomandate dalla Caritas diocesana e dalla Fondazione Comunità solidale è quella dell'”accoglienza diffusa” che punta su progetti a piccoli gruppi e riesce a far leva su tutta la comunità, come si è visto in certe comunità come Castelfondo o Besenello.
“Lavoriamo da qualche anno con chi ha superato la prima accoglienza – è la constatazione di Stefano Canestrini, del Centro Astalli – e avvertiamo quanto sia importante pensare alla seconda accoglienza, attraverso progetti sulle persone che partendo dalla fase di una certa autonomia lavorativa e da qualche promessa occupazionale possa trovare aiuto per la dimensione abitativa, sempre difficile. Un terzo passaggio è la garanzia sull'affitto, che aiuta gli immigrati a non avvertire l'ansia per la casa e li fa sentire accompagnati nella loro determinazione a rimanere a vivere a lungo nella nostra terra senza dover ricominciare altrove una ricerca infinita”.
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