La pace? Va desiderata, preparata, custodita. Non è una passeggiata, richiede coraggio, concretezza, competenza. La pace? È prima di tutto una questione di educazione: quali sono i suoi fondamenti, cosa la ostacola, da dove partire per essere davvero, da educatori, operatori di pace e testimoni di speranza? Interrogati da queste domande i capi scout AGESCI del Trentino Alto Adige si sono riuniti venerdì 22 gennaio per una serata di riflessione e formazione, in dialogo con due voci della comunità islamica trentina.
Paolo Bill Valente, direttore della Caritas di Bolzano-Bressanone e capo scout, appena rientrato dal Burkina Faso, ha introdotto l'incontro raccontando l'esperienza dell'“Unione fraterna dei credenti” che da 45 anni, al confine con il Mali, mette insieme cristiani e islamici in azioni di promozione umana, dalla cultura allo scavo di pozzi. “Queste pratiche portano alla reciproca conoscenza e quindi ad un dialogo spontaneo, non un dialogo teologico ma un dialogo della vita, molto concreto. Se il Burkina riesce a reagire a vari problemi sul piano politico e non solo, è anche grazie a questa pratica di dialogo tra religioni, culture, gruppi etnici: alle spalle della convivenza pacifica c'è un lungo lavoro di preparazione”.
“La conoscenza è il primo indispensabile passo per la fratellanza”, ha esordito l'imam di Trento Aboulkheir Breigheche: “Conoscere l'alterità serve ad evitare che dall'iniziale senso di diffidenza, il comprensibile sentimento di difesa, nasca la paura. Occorre riconoscere l'alterità come ricchezza – questo è anche uno dei principi coranici”.
Il dialogo con il diverso nasce dal bisogno di creare pace: “Richiede continuità, sforzo quotidiano, il coraggio di un confronto vero. Non è una passeggiata!”, ha ammonito don Mario Gretter, referente diocesano per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso a Bolzano; “Non non basta dire quattro banalità, non basta essere figli dei fiori e sorridere. Serve competenza”. Un esempio legato alla realtà altoatesina: imparare il tedesco, la lingua delle minoranze che abitano con me. “Altrimenti, non saprò andare verso l'altro per quello che l'altro è veramente”.
Occorre essere consapevoli, ha sottolineato Chebbi Zouhaier, capo scout ASMI (Associazione Scout Musulmani Italiani) che la pace “non è una conquista, ma è un processo, responsabilità di tutti e di ciascuno”. Anche lo scautismo musulmano educa alla fratellanza e all'accoglienza: “La pace è legata alla politica, al materialismo, al potere, ma per costruirla occorre partire dal nostro piccolo. E si impara facendo”.
“La scelta di essere fratelli di tutti crea una base di fraternità, su cui poi trovano spazio anche le fatiche, perché questo – ha spiegato don Gretter – è costruire la pace: non basta partire dalle cose che ci uniscono, bisogna avere anche il coraggio di affrontare fraternamente quelle che ci separano”, fare lo “sforzo di dare all'altro lo spazio di essere altro da me”. Come Dio, che si limita per dare all'uomo la libertà di essere.
Nessuno dice che sia facile. Ma gli scout, ha ricordato don Gretter, sono abituati a sorridere e cantare anche nelle difficoltà: “Chiediamoci: da dove viene la vera gioia? Perché dovremmo credere nella speranza anche quando tutto il resto del mondo vede nero? Entriamo nella vita! Incarniamoci in questa vita e incoraggiamo i ragazzi a farlo. Allora saranno costruttori di pace, perché avranno a cuore la vita e non vorranno permettere che venga distrutta, sprecata, uccisa”.
Confortati dalla consapevolezza, ha concluso Paolo Valente citando Papa Francesco, che “Dio non è indifferente: a Dio importa dell'umanità e non l'abbandona. Educhiamo i ragazzi a riconoscere la pace come un dono di Dio, affidato a tutti gli uomini e le donne che sono chiamati a realizzarlo”.
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