Crisi mediorientale e baruffe interne

La prima pagina del quotidiano La Stampa di mercoledì 2 ottobre

L’orizzonte internazionale si aggrava di giorno in giorno e i suoi riflessi anche sulla nostra situazione interna non tarderanno a farsi sentire. È impossibile che il crescendo di tensioni in Medio Oriente e l’andamento sempre più confuso della guerra in Ucraina non si scarichino anche sull’Europa e di conseguenza sull’Italia: non fosse altro per un prevedibile aumento di migranti in fuga, per ripercussioni sul prezzo del greggio, per un ulteriore complicazione nel sistema degli scambi commerciali.

La situazione della nostra economia è accettabile, ma non è certo tale da non impensierire: ci sono crisi in alcuni settori del manifatturiero, risentiamo della recessione tedesca perché esportiamo molto verso quel paese, il quadro della nostra pubblica amministrazione non è esaltante e ciò si riverbera sull’utilizzo degli investimenti del PNRR, che sono un punto forte per sostenere una certa crescita.

In un contesto del genere la tenuta del sistema politico generale non è certo ottimale.

Tanto nella maggioranza quanto nell’opposizione sono in corso lotte intestine che inevitabilmente indeboliscono la capacità di presenza del nostro paese nei vari settori di crisi. E, come sempre, quando il sistema scricchiola si aprono spazi per tutti i corporativismi e i lobbismi possibili.

Iniziamo ad esaminare la situazione della maggioranza di governo. Si vede abbastanza chiaramente una strategia (se possiamo usare un termine così impegnativo) di Salvini per impedire che si stabilisca in qualche modo se non un asse, una collaborazione in senso conservatore moderato fra Meloni e Tajani nel quadro di equilibri europei che von der Leyen sta cercando di costruire. Il leader della Lega accentua la sua deriva di estrema destra populista, come si sta vedendo con l’entusiasmo per il successo elettorale del partito austriaco Fpö, denso di nostalgie para-naziste.

Sul punto c’è stato uno scontro aperto con il ministro degli Esteri che segue la linea del PPE, il quale ha posto un confine netto verso formazioni di quel tipo. Tutto è accentuato dall’invito al tradizionale raduno di Pontida al leader ungherese Viktor Orban, peraltro assieme ad altri personaggi chiave dell’estremismo destrorso europeo: tutte iniziative che certo non facilitano il posizionamento di Giorgia Meloni nella difficile partita europea.

A Salvini questo non interessa, perché vede chiaramente che se si salda un fronte moderato conservatore (ammesso che FdI sia in grado di tenere sotto controllo certe sue nostalgie storiche) lo spazio non tanto per la Lega in generale, quanto per lui in particolare, diventa molto risicato.

Qualcosa di simile sta accadendo sul versante del cosiddetto campo largo. Anche qui siamo di fronte al tentativo di definire quale dovrà essere la fisionomia futura, ma soprattutto la distribuzione del potere in quella coalizione che potrebbe aspirare a succedere al governo.

Fino a qualche tempo fa poteva sembrare che la situazione abbastanza confusa in cui si trovava il PD consentisse la cosiddetta “sinistra plurale”, cioè un coacervo di formazioni in cui ciascuno inseguiva i propri obiettivi senza essere obbligato a coordinarsi più di tanto. Ultimamente però è emerso che, non si sa se per necessità o per virtù, il PD ha ritrovato una certa compattezza certificata dal successo nelle urne europee. Di conseguenza si è ripresentato il tema del partito perno della coalizione, con gli altri che avrebbero avuto un ruolo per così dire servente.

Ciò non è parso accettabile né a Conte, che coltiva ancora l’illusione di incarnare la alternativa di nuovi ceti dirigenti i quali si affermano nel tramonto dei partiti storici, né al duo Fratoianni-Bonelli, ancora legati alle mitologie dell’alternativismo integralista destinato ad imporsi per l’implodere del vecchio mondo. Certo poi questi orizzonti per così dire ideologici si sono sciolti in banali scaramucce di potere e poltrone: il tutto condito da una narrazione fantasiosa sulla implausibilità di Renzi come uomo di sinistra (un terreno più che scivoloso, vista la caratura dei suoi critici…).

Resta il fatto che quel che sta succedendo sui due versanti del nostro mondo politico lascia intendere che si sta aprendo una fase ulteriore nel cammino per definire come si uscirà dal quadro ancora nebuloso che ci ha lasciato in eredità lo scontro fra il berlusconismo e quel che era sopravvissuto della alternativa di sinistra.

Non sappiamo come si evolverà questa storia, ma ci sembra di intuire che stiamo lasciandoci alle spalle davvero il quadro della prima repubblica.

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