Da oltre un mese abbiamo guardato con enorme sorpresa all’invasione di truppe ucraine nella regione russa del Kursk, subito al di là del confine est. Che la sorpresa abbia riguardato noi osservatori occidentali è poco rilevante, ma che lo stesso imbarazzo di non prevedere la mossa di Kyiv sia dipesa dall’incapacità dell’intelligence russa la dice lunga sull’impreparazione di Mosca nel gestire fin dall’inizio questa disgraziata guerra di aggressione.
In fondo Putin non ha fatto altro che cumulare sconfitte, dalla fallita missione dei primi giorni su Kyiv al tentato golpe delle sue milizie di élite Wagner, dall’allargamento della Nato a Svezia e Finlandia alla persa “guerra del grano” nel Mar Nero. Malgrado questi rovesci politico- militari il Cremlino continua nella sua pressione armata nel Donetsk ed è da tempo nei pressi della cittadina di Pokrovsk, nodo ferroviario e stradale fondamentale per completare la conquista di tutto il Donbass che Putin considera già russo dopo il referendum farlocco dell’anno scorso. Tutto ci si poteva aspettare, tranne una vera e propria invasione “strategica” dell’esercito ucraino nella regione russa limitrofa con l’uso di carrarmati, droni, artiglieria e truppe scelte. Quindi non solo un attacco sporadico con droni o piccoli gruppi di sabotatori come nell’altra regione oltre confine del Belgorad, ma un uso ampio di armi occidentali sul suolo russo. Una sfida quasi insopportabile per Putin che ha subito ricordato che un attacco al territorio russo non si verificava dalla seconda guerra mondiale. Sfida, naturalmente, portata dalla Nato e dall’Occidente che arma Kyiv e ne sostiene la resistenza. Ma al di là delle reazioni scontate del nuovo zar e della lunga attesa, oltre un mese, per iniziare un contrattacco che cerchi di liberare la regione occupata, a preoccuparci ancora oggi sono le ragioni che hanno spinto Volodymyr Zelensky ad imbastire l’operazione e, soprattutto, le sue possibili conseguenze. Come abbiamo visto, la guerra nel Donetsk stava andando male da alcuni mesi e la pressione delle truppe russe non cessava di spingere in ritirata le stanche milizie ucraine a difesa della zona. Con la mossa nel Kursk Zelensky pensava forse di obbligare il Cremlino a spostare truppe dal Donetsk e impegnarle nella difesa del Kursk. Ciò non è avvenuto e quindi la caduta di Pokrovsk non è per nulla esclusa. Se quindi una delle ragioni dell’iniziativa ucraina non è andata a buon fine, meglio vanno altre conseguenze dell’attacco.
Il primo è stato quello di catturare un numero consistente di soldati russi, giovani e del tutto impreparati a resistere all’assalto delle truppe ucraine. Si è quindi potuto trattare con Mosca lo scambio di prigionieri, cosa avvenuta quasi immediatamente con grande sollievo delle famiglie ucraine che hanno visto ritornare i propri soldati a casa. La seconda ragione recondita è quella di avere nelle proprie mani una fetta del territorio russo da potere scambiare con quelli conquistati dai russi nel caso dell’apertura di una (ancora lontana) trattativa di pace. Infine, ed è forse la cosa più importante per Zelensky, la straordinaria capacità delle proprie truppe ha enormemente sollevato il morale della popolazione e dei soldati ucraini dopo un’estate particolarmente difficile sul fronte militare. Ciò ha anche permesso al presidente ucraino di operare senza grande clamore ed opposizione interna un drastico cambio nella compagine del suo governo mandando a casa ministri di grande levatura, come quello degli esteri Dmytro Kuleba.
Rimane in ogni caso aperto il destino di questa incredibile operazione di terra e se da essa potranno davvero scaturire prospettive più concrete di pace. Lo stesso cancelliere tedesco Scholz ha preso la palla al balzo per proporre una nuova conferenza di pace da tenersi in Ucraina con la partecipazione della Russia. È quanto propone da tempo anche Zelensky, magari non in Ucraina ma in un luogo neutrale, chiamando tuttavia il suo piano per la pace “il piano per la vittoria”, che non è proprio un buon inizio.
Imbaldanzito dal successo ottenuto dal suo esercito il presidente ucraino continua oggi a premere sugli alleati di togliere il limite alla gittata dei missili inglesi e americani per costringere Mosca ad arretrare le basi da cui partono aerei e droni che colpiscono l’intero territorio ucraino. Ed in effetti la penetrazione nel Kursk ha avuto come effetto lo spostamento più all’interno delle basi russe in quella regione. Infine, ed è un’altra spiegazione dell’intervento nel Kursk, Zelensky si è detto convinto che le popolazioni russe a ridosso della frontiera sperimenteranno le conseguenze drammatiche della guerra e premeranno quindi sul Cremlino, che non è proprio una democrazia, perché si arrivi alla pace. Pia illusione poiché recenti sondaggi nel Kursk, Belgorod, Bryanski, le tre regioni di confine, hanno dimostrato maggiore appoggio a Putin e la volontà di rispondere alla sfida ucraina. Insomma guerra chiama guerra e ci vorrà una vera volontà politica per chiudere il conflitto con un primo cessate il fuoco e per aprire poi la strada a trattative di pace. Ma tutti, davvero tutti dovranno contribuirvi, a cominciare proprio dal dittatore Putin, umiliato ma non ancora costretto a rimangiarsi la follia di questo conflitto.
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