Nell’agosto 1945 mi trovavo, già da quasi sei mesi, in un campo di concentramento, nell’isola meridionale del Giappone, il Kyushu, in una stazione termale alle falde del monte Aso (il cratere spento più ampio del mondo), con tutti gli “stranieri” presenti sull’isola. Completamente isolati senza radio né giornali, guardati a vista, ma fortunatamente con personale corretto senza angheria di alcun genere. Solo con qualche libro e nell’inazione più assoluta.Sul Giappone, frattanto – ma lo venimmo a sapere solo dopo la liberazione in settembre – stava accadendo il finimondo con bombardamenti aerei su tutte le città: ogni notte varie città di centinaia di migliaia di persone venivano rase al suolo; in una sola notte a Tokyo trecento mila vittime. Poi le due bombe atomiche che, in un certo senso, non fecero tanta impressione per il numero delle vittime, ma solo per il fatto che gli immediati 80.000 morti erano stati uccisi in un istante solo, mentre gli altri bombardamenti duravano ore ed ore che non finivano mai.Tutto ciò che si sa oggi sull’atomica anche in Giappone si venne a sapere soltanto nei mesi successivi, perché al momento dello sgancio neppure gli americani, e tanto meno i giapponesi, sapevano di che cosa si fosse trattato. Ma il guaio maggiore fu che, mentre dopo un bombardamento “normale” i feriti potevano essere curati dai chirurghi che guarivano le ferite e provvedevano adeguatamente ai mutilati con le conseguenze che tutti conoscevano, invece con la bomba atomica ci si trovò di fronte alle incognite delle radiazioni, per cui le morti si succedevano senza saper come e perché, e le difficoltà maggiori furono quelle dei medici che non sapevano come fosse possibile intervenire di fronte alla molteplicità delle situazioni. Tanto è vero che nelle cronache gli 80.000 morti immediati salirono ad oltre 200.000 per Hiroshima, ed i 60.000 di Nagasaki superarono i 150.000. La cosa peggiore è che ancora oggi la sequenza di quella tragedia è ancora in corso sia per quanto riguarda le persone e le generazioni che si susseguono, sia per quanto riguarda la natura vegetale ed animale; le radiazioni nucleari hanno davvero sconvolto il mondo ed ancora non ce se ne vuole rendere conto. Le centrali nucleari sono altrettante bombe atomiche sul capo; si ricordi Chernobyl e l’ultimo tsunami nell’isola centrale del Giappone di Honshu.
Agosto 2015: dopo 70 anni esatti, eccomi in Italia, coi miei 95 anni, a sentirmi ancora in quell’anfratto di roccia, relativamente a poche decine di chilometri da Nagasaki; e mi sento ancora in compagnia di quelle popolazioni civili che, a causa dello strapotere dei militari, dovettero subire un’infinità di bombardamenti arerei culminati con le due atomiche su Hiroshima, il 6 agosto, e su Nagasaki, il 9 agosto. Mi sento accanto a quanti ho visto piangere, con raccolta dignità, senza mai una escandescenza. Per loro e per me è una giornata di lutto, come lo è il “giorno della memoria” per i lager. Sono quelle date che vedo diradarsi nella memoria delle nuove generazioni, che non sanno rendersi conto che tutto ciò potrebbe ancora immediatamente riaccendersi se non si vive con una capillare e costante attenzione anche nelle piccole cose della quotidianità, che possono portare a tragedie immani, ad “inutili stragi”, come il Papa del tempo, Benedetto XV, definì la prima guerra mondiale. Commemorare gli anniversari non serve a niente se non si ha l’accortezza e la saggezza di comportarsi affinché il “male” non abbia a ripetersi; la “memoria” e le “commemorazioni ufficiali” da sole penso che servano a ben poco.
Grazie di aver ricordato la mia personale esperienza, ancora viva nei miei 100 anni compiuti il mese di giugno 2020. Tramandatene la memoria ricordando che si tratta di atrocità da ricordare affinché non abbiano a ripetersi per nessuna ragione al mondo.