Intervista all'autore: “L’Alto Adige è uno dei luoghi d’Europa dove meno, con la giustificazione del conflitto etnico, si sono fatti i conti con le responsabilità del passato
Bolzano – È stato presentato nei giorni scorsi il libro di Maurizio Ferrandi “Mussolini e l’Alto Adige. Fantasmi e stelle alpine” (Curcu&Genovese). Ferrandi (già caporedattore alla Rai di Bolzano) racconta la storia del Sudtirolo attraverso le vicende di uno dei più controversi protagonisti della storia del Novecento. È l’autore stesso, in questa intervista, a spiegarci il senso del suo lavoro.
Ferrandi, Mussolini è una figura utile a darci una chiave di lettura della questione altoatesina?
Sicuramente sì e non solo per la responsabilità storica e politica che porta per il tentativo di snazionalizzazione compiuto durante il “ventennio” nei confronti della minoranza sudtirolese, ma anche per il suo approccio culturale nei confronti del conflitto tra italiani e tedeschi al confine Nord d’Italia. Nel libro racconto, infatti, l’evoluzione di quest’analisi, sino dal 1909, quando Mussolini viene in Alto Adige da Trento a svolgere il suo ruolo di sindacalista socialista e si trova subito a confrontarsi con il duro scontro etnico in atto ormai da diversi decenni. Qui si forma delle opinioni ben precise che solo in parte coincidono con quelle dettate dall’ideologia internazionalista del socialismo e che influenzeranno molto pesantemente il suo comportamento successivo, quando, come “Duce del fascismo”, dovrà affrontare il problema altoatesino.
Qual è la principale responsabilità di Mussolini nei confronti dell’Alto Adige?
La responsabilità è di aver applicato la ricetta nazionalista al problema costituito dall’inclusione di duecentomila sudtirolesi entro i confini dell’Italia, avvenuta con la fine della prima guerra mondiale. Il nazionalismo, metastasi tremenda del sentimento nazionale, non concepisce l’esistenza di zone “grigie” abitate da popolazioni di lingua, razza, religione e cultura diverse. Tutto deve diventare o bianco o nero e per raggiungere questo scopo i metodi sono sempre gli stessi, allora e oggi. Dal 1922 in poi il fascismo cercò di strozzare la cultura sudtirolese, anche se Mussolini, proprio per la conoscenza precisa e personale che aveva della situazione, non s’illuse probabilmente mai di poter italianizzare completamente la minoranza tedesca. Lo scopo che perseguì fu quello di italianizzare la provincia inondandola di immigrati italiani e recidendo i legami più forti tra la minoranza e le sue radici di oltre Brennero. Scopo, come ci racconta la storia, abbondantemente fallito, ma a prezzo di grandi sofferenze.
In che forma è ancora oggi presente, in Alto Adige, il fantasma di Mussolini?
Il fantasma di Mussolini, come molti altri spettri che risalgono al terribile periodo del nazifascismo, aleggia ancora sull’Alto Adige, perché i fantasmi amano rimanere nei luoghi dove ancora permangono questioni non chiarite e problemi irrisolti. L’Alto Adige è una terra di questo genere perché è forse uno dei luoghi d’Europa dove meno, con la giustificazione del conflitto etnico, si sono fatti i conti con le responsabilità del passato, non solo quello dell’epoca delle grandi dittature, ma anche e soprattutto quello del terribile scontro tra opposti nazionalismi che dura ormai dalla metà dell’Ottocento. Troppe questioni non sono mai state chiarite, troppe responsabilità sono state nascoste dall’una e dall’altra parte. E allora si spiega anche come un Duce di marmo che alza il braccio nel saluto romano sopra al motto “credere, obbedire, combattere”, possa essere una presenza costante, da decenni, al centro della città di Bolzano.
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