Nel discorso di insediamento una grande attenzione alle persone in carne ed ossa, con le loro sofferenze e i loro problemi
E’ stato chiamato Sergio Mattarella, uomo di punta della Prima Repubblica legato culturalmente e politicamente ad Aldo Moro, per chiudere definitivamente la Seconda. Il discorso di martedì 3 febbraio del nuovo Presidente della Repubblica prepara, di fatto, con toni, se vogliamo “antichi”, un’epoca nuova. Sì, si aprirà una situazione nuova, non si sa ancora se sarà la cosiddetta “terza fase” di Moro, ma comunque si entrerà, con la nuova legge elettorale e con la riforma della seconda parte della Costituzione, in un capitolo diverso della storia del nostro Paese.
Mattarella, giustamente, non ha fatto ricorso ai “maestri” da Sturzo a Moro (sarebbe forse stato ingombrante ma è partito dalla loro lezione) così come non ha fatto alcun cenno all’assassinio del fratello Piersanti che è stato l’evento tragico che l’ha convinto a impegnarsi in politica. Martedì mattina nell’Aula di Montecitorio si è presentato nella sua semplicità e nella sua timidezza, tanto da perdere a un tratto un foglio del suo discorso, ridando il giusto senso e il giusto ruolo alla politica. Per trenta minuti nessun cittadino italiano ha potuto negare di sentirsi chiamato direttamente in causa, di sentirsi in un certo senso protagonista del proprio futuro. Ed ha soprattutto avvertito, in questo essere chiamati, di non essere da solo. Mattarella è andato a recuperare le parole più semplici e immediate per riportare la politica dentro la vita umana.
Dentro, cioè, la ragione per cui la politica esiste: sostenere nel loro cammino di vita uomini e donne, di qualunque colore, fede, e condizione. Nessuno è stato dimenticato. Il dolore soprattutto: quello delle famiglie in questi anni di crisi che ha aumentato le differenze sociali, quello dei vecchi lasciati soli, quello dei giovani disoccupati, quello delle donne che subiscono violenze, ma anche quello di chi soffre oggi prigioniero all'estero, o dei civili che lavorano in zone di guerra.
Non è un caso che Mattarella nei giorni scorsi sia andato a trovare sia Ciampi sia Napolitano. E che entrambi siano stati nominati nel discorso. Dopo la Patria, tanto cara a Ciampi, e lo Stato, filo conduttore della presidenza Napolitano, ora è il popolo di cui ci si deve prendere maggiore cura. C'è una grande attenzione alle persone in carne ed ossa, con le loro sofferenze e i loro problemi personali: "Ingiustizia", "nuove povertà", "emarginazioni", "solitudine", "angoscia delle famiglie", "esclusione". È una lettura, si potrebbe dire, dal basso della crisi, tipica del cattolicesimo democratico. Da un lato la "persona", l'individuo. Dall'altro le istituzioni chiamate alla risoluzione di questi problemi: "Sono questi punti dell'agenda esigente – dice Mattarella – su cui sarà misurata la vicinanza delle istituzioni al popolo. Dobbiamo saper scongiurare il rischio che la crisi economica intacchi il rispetto di principi e valori su cui si fonda il patto sociale sancito dalla Costituzione".
Questo elenco, che può sembrare simile a tanti altri, è per Mattarella, e qui sta la svolta rispetto al politicismo di questi decenni, il principio e il fine della politica stessa e della nostra Carta costituzionale. Dopo anni di confusione il nuovo Presidente della Repubblica ha cercato di mettere le cose giuste al loro posto con un forte richiamo all’impegno etico. Nulla c'è di più banale, ma anche di meno scontato oggi, del rimettere al centro dell'azione dello Stato la lotta alla corruzione, al degrado economico e sociale che essa porta nella vita di tutti, e, rilevantissimo nelle attuali circostanze politiche, la definizione come pratica corruttiva della evasione fiscale. Mattarella in un certo senso ha voluto nella sua semplicità dare il segno di un nuovo inizio. Un ricordare alla classe politica i doveri, le priorità e la modalità per realizzarle. La brevità e la semplicità delle parole, sono la forza di un mite come Mattarella, sembrano aver ripreso il centro della scena relegando ai margini le grida, le frenesie, le volgarità in cui da troppo tempo la nostra politica è immersa.
Chi ha avuto la fortuna, come chi scrive, di conoscere da vicino il nuovo Presidente sa che s’impegnerà a fondo per raggiungere gli obiettivi che ha indicato. Mattarella non è la persona abituata ad alzare i toni della voce per farsi sentire, ma è un politico tenace, molto tenace, che fa della persuasione il suo strumento principale per accompagnare i processi politici. E alla luce del suo dire impregnato della cultura morotea dell’“inclusione”, esemplare in questa direzione, il richiamo ai giovani parlamentari a indirizzare in modo più positivo i loro talenti, saprà sicuramente imprimere un nuovo passo alla politica italiana. Lo farà quasi in silenzio senza tanti moniti, ma lo farà. Non è, forse, azzardato dire che il settennato di Mattarella sarà all'insegna della ricostruzione sociale del paese.
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