Le intuizioni “sociali” di padre Giuliano

La copertina del volume scritto da padre Giuliano Stenico insieme ad Alessandro Alvisi (Edizioni Arte Stampa, giugno 2024). Religioso dehoniano, pedagogista, è stato anche direttore dell’Istituto “Toniolo” di Modena

Lo spunto

“La mia vita con il CEIS – scrive Giuliano Stenico – ma potremmo dire la mia vita con Dio e il prossimo, la mia vita piena di concreti legami, incontri, sogni, lotta, sogni, delusioni, difficoltà e felicità nel restituirla a chi la stava perdendo o non la ritrovava più”. Dobbiamo collocare in una particolare fase storica della Chiesa e del mondo giovanile l’esperienza di vita e l’impegno iniziale di padre Giuliano Stenico. In quegli anni Ottanta in cui la Chiesa scrutava i segni dei tempi, padre Giuliano assunse le sofferenze di moltissime persone, con desiderio e vicinanza, con una passione spirituale frutto dello spirito del Concilio Vaticano II e del Vangelo. Il senso di “spirituale” assunse così un significato nuovo, non “fuori dal mondo”, ma condivisione dei bisogni e assunzione di responsabilità. (…) Il Ceis è stato “l’albergo del Buon Samaritano”.

Mons. Matteo Maria Zuppi, presidente CEI

Prima di seguire le belle parole che il cardinale Zuppi ha posto come introduzione al libro di padre Giuliano Stenico “Intuizioni di bene”, è opportuno precisare che padre Stenico è un sacerdote trentino dehoniano, originario di Gazzadina, vicino a Meano, e che il Ceis è un Centro di solidarietà da lui fondato a Modena nel 1982. Ora è una Fondazione onlus di rilievo nazionale che raccoglie dieci enti fra cui otto cooperative sociali.

Le parole di Zuppi esprimono bene il significato che l’autore ha voluto dare al suo lavoro (curato con Alessandro Alvisi): non tanto un’autobiografia, non solo la testimonianza di una vita operosa, ma l’espressione degli anni alla fine dell’ultimo secolo visti e vissuti attraverso il cammino (il pellegrinaggio?) di un uomo e di un prete che s’è fatto carico di tutte le fragilità sociali, delle dipendenze e delle carenze sociali che hanno caratterizzato l’epoca: i mali di un mondo che si considera forse il migliore possibile e invece sembra aver smarrito se stesso, abbandonando per strada i più deboli, promuovendo nuove debolezze, lasciando soprattutto i giovani feriti e rapinati della loro identità, ostaggi della mercificazione e del consumismo.

Il Ceis ha avuto la “mission” di accogliere le dipendenze e le emarginazioni distruttive (di se stessi e delle famiglie); all’inizio quelle dovute alla droga, ora anche quelle che derivano dal carcere, agli emarginati o agli immigrati costretti a famiglie divise, non in grado di ricongiungersi a mogli e figli.

Padre Giuliano è stato il Samaritano che si è chinato su questa umanità caduta per rialzarla, con umiltà ed empatia personale, mentre il Ceis è l’”albergo” evangelico, dove chi è caduto ritrova speranza, comunità, fratellanza, voglia di iniziare una vita nuova.

Dal libro viene una grande lezione di umiltà e di gratitudine per chi ha aiutato e formato padre Giuliano. Si può cogliere poi la capacità anche pragmatica, la tenacia contadina da solide radici familiari con la quale il fondatore ha radicato e consolidato il Ceis, un passaggio per nulla scontato perché “l’Intuizione di bene – come rimarca anche Zuppi nella prefazione – non si è esaurita in buonismo, in un fuoco improvviso che subito si estingue”. Né ha voluto limitarsi ad una dimensione sanitaria e assistenziale, per proporsi invece come una comunità capace non solo di accogliere, ma di rilanciare la vita a livello esistenziale, di rimotivarla, di darle nuove conoscenze e contenuti. Di darle anche continuità, via via che affrontava nuove dipendenze e carenze sociali, fino alle più gravi di oggi che padre Stenico giudica essere le mancate ricongiunzioni familiari. “ Sembra – ha scritto – che tutto, burocrazia ed economia, le ostacoli.”

A questi tre livelli di narrazione di vita corrispondono anche tre livelli di lettura. La prima parte del libro si legge come un “Bildungsroman”, il racconto di iniziazione di un giovane alla vita , con incontri ed esperienze umane come la frequenza delle scuole elementari “pluriclasse” dove i ragazzini imparavano non solo dagli insegnanti, ma dai loro compagni più anziani, più “avanti” nei corsi, dall’alternanza fra studio e lavoro che la società contadina rendeva quasi automatica, inevitabile, dando però stabilità ai caratteri, impedendo solitudini e nevrosi, dall’aiutarsi reciprocamente all’incontro. Indimenticabile il ritratto della “signora Fiora” poverissima (ed anche trascurata nel suo lasciarsi andare) che al piccolo Giuliano non piace , ma che la mamma invita a pranzo a “mangiare con loro” e vuole che anche il piccolo figlio la tratti come una signora… La seconda parte riguarda invece l’impatto del ragazzo fuori dal paese, nelle scuole dei Dehoniani con la precoce vocazione di dedicarsi all’Africa dopo la lettura de “ Il Piccolo missionario”. Una riflessione sulla funzione di maturazione, ma anche di contraddizione che l’impatto con realtà esterne, anche comunitarie, riflettono su un giovane, chiamato a fare i primi conti su “regole” e “libertà” nelle scelte di vita. Qui Giuliano capisce come il carisma sacerdotale non basti di per sé a colmare eventuali carenze di umanità, di fratellanza e di accoglienza. La terza chiave di lettura è più propriamente storica e sociologica e si riferisce agli anni di liceo a Monza e allo studentato teologico a Bologna e poi l’Istituto superiore di Reggio Emilia che vede l’incontro con ottimi maestri (da Giovanni Bianchi a Camillo Ruini) con gli studenti sessantottini che vogliono partecipare con le loro proposte agli insegnamenti e completarli con esperienze esterne. Fondamentali a questo proposito risultano per Giuliano gli studi di pedagogia e l’esperienza operaia alla catena di montaggio della “De Tomaso” a Modena, le ore di lavoro nella raccolta della frutta (“il voto di povertà si realizza innanzitutto esercitando un lavoro che possa mantenerti”) e la vita in comunità. Infine, le voci dei genitori di giovani eroinomani, l’incontro con don Mario Picchi a Roma, il mutato contesto odierno della tossicodipendenza.

Le pagine conclusive del libro “Intuizioni di bene”, una sorta di “work in progress”, restano ancora aperte, tutte da scrivere, con nuove sfide di accoglienza che richiedono anche strumenti diversi. E questo fa del libro un’opera non solo da leggere, ma da condividere, assieme alla vita e all’impegno di padre Giuliano Stenico.

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