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“Un po’ di giorni fa, indossavo i miei abiti tradizionali e avevo il viso dipinto secondo gli usi della mia gente. Ero all’aeroporto Confins di Belo Horizonte, di ritorno da una cerimonia, e ho notato che un bambino mi guardava spaventato. Ma quando la madre gli ha sussurrato qualcosa all’orecchio, lo sguardo nei suoi occhi è cambiato: ora era pieno di meraviglia. Per caso, la mamma si è distratta e il piccolo mi si è avvicinato. Mi ha detto: La mamma mi ha detto che mangi le persone”. Non ho reagito in nessun modo, ero imbarazzata”.
È il resoconto di uno dei tanti tristi episodi – e pregiudizi – di cui è vittima Anália Tuxá insieme a tanti altri membri delle nazioni indigene sparse per il mondo. Leader dei Tuxá (“i figli delle acque”) e originaria di Minas Gerais nel Brasile, Anália ha partecipato a molti eventi qui alla Conferenza ONU sul Clima (COP24) di Katowice. Ha raccontato alcuni momenti della sua vita e sottolineato la necessità di proteggere le foreste del suo Paese. In memoria delle antiche terre della sua gente, la nativa si è commossa ricordando tempi che ormai sembrano perduti. “Il mio più bel ricordo risale a quando potevamo essere liberi sulla nostra isola”.
L’ “isola” è Ilha de Viuva, nello Stato brasiliano di Bahia. È stata sommersa dalla costruzione dell’impianto idroelettrico Itaparica e i Tuxá sono stati costretti a spostarsi in sei territori diversi: la maggior parte è confluita nelle città di Bahia, ma altri si sono stanziati negli stati di Alagoas, Pernambuco e Minas Gerais. Secondo i dati raccolti da Siasi/Sesai nel 2014, ci sono circa 1.700 individui Tuxá sparsi in diverse regioni del Brasile.
Guerriera e resistente sono parole che descrivono bene Anália, che è molto fiera di mantenere vive le tradizioni del suo popolo. “Siamo l’unico gruppo Tuxá che ancora parla la nostra lingua, mentre gli altri gruppi l’hanno abbandonata.” E aggiunge: “Abbiamo ancora la nostra spiritualità originaria, conserviamo i nostri metodi agricoli e il nostro modo di vivere nel territorio. Pratichiamo uno stile di vita sostenib
Se le si chiede della relazione tra indigeni e bianchi, Anália enfatizza il rapporto pacifico che esiste tra i due gruppi – sottolineando che tale convivenza si può basare solo sul rispetto. “Coesistiamo senza che questo danneggi nessuno. Alcuni indigeni sposano non-indigeni, ma il matrimonio non cancella certo la loro identità.”
Tuttavia, alcune questioni rimangono complicate. Le risorse dei loro villaggi sono minime e i Tuxá vivono in un perenne stato di sussistenza, costantemente preoccupati per l’ambiente. “Facciamo tutto il possibile per difendere l’ecosistema. Perché tutta la natura è sacra, per noi. Non puoi strappare un fiore o una pianta medicinale se non hai il permesso dei guardiani”, dice Anália.
Con lo sguardo pieno di speranza, forza e determinazione, la leader indigena snocciola le ragioni della sua battaglia. “Il nostro territorio sacro, dove i nostri antenati sono sepolti, è ormai sott’acqua. I Tuxá sono stati costretti a concedere le loro terre perché il loro sfruttamento possa portare vantaggio economico a chi produce elettricità. Combatto perché lo Stato brasiliano ha un enorme debito nei confronti delle nazioni indigene che vivono dentro i suoi confini.”
Giulia Requejo, Luchette Furtado e Roberta Pisani
(traduzione di Carlotta Zaccarelli)
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