Il confronto ha rilanciato sulla necessità di insistere sulle pene alternative
Il carcere – salvo rare eccezioni – ha in larga parte fallito la sua missione, non corrisponde al dettato costituzionale che parla di pena, ma in termini di recupero della persona detenuta. Oggi in Italia così non è. E non lo è nemmeno nelle strutture più moderne. Con pacatezza, il confronto promosso martedì sera 9 dicembre alla sala teatro “Gigi Cona” a Gardolo dalla Circoscrizione e moderato dal giornalista Walter Nicoletti ha risposto alle aspettative, gettando uno sguardo “dal sociale” al pianeta carcere, con realismo e chiarezza. E offrendo anche un annuncio a sorpresa: alla direzione del carcere di Trento arriverà Valerio Pappalardo, proveniente dal carcere “Petrusa” di Agrigento; subentrerà all’attuale direttore “in missione”, cioè temporaneo, Francesco Massimo, direttore della Casa Circondariale di Treviso.
In apertura, dopo i saluti del presidente della Circoscrizione, Walter Lenzi, e dell'assessora alle politiche sociali del Comune di Trento, Mariachiara Franzoia, un dato per dire del degrado del sistema carcerario: i metri quadrati a disposizione di ogni detenuto sono, in media, tre; molti di meno rispetto allo spazio minimo di 6 metri quadrati riconosciuto dalla cosiddetta “direttiva Torregiani”, scaturita dal ricorso di un detenuto alla Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha posto l'Italia sotto osservazione speciale. “Tre metri quadrati: meno di quanto hanno a disposizione i maiali negli allevamenti intensivi”, ha osservato Pasquale Profiti, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati del Trentino Alto Adige, soffermatosi sul tema della sanzione penale. Citando statistiche riferite agli Stati Uniti d'America, Profiti ha rilevato come il carcere non serva a contenere la delinquenza. Sarebbe più produttivo puntare sulle misure alternative al contenimento dietro le sbarre, posto che chi ha scontato la pena in carcere nel 70 per cento dei casi vi ritorna, percentuale che cala al 19 per cento tra chi ha scontato pene alternative. Oggi il carcere è l'unica risposta, mentre sarebbe più che mai necessario ragionare intorno alla possibilità di una diversificazione delle pene, ha concluso Profiti.
Di carcere come “non luogo” ha parlato Piergiorgio Bortolotti, volontario nel carcere di Spini di Gardolo: “Il carcere è un deserto tecnologico. Ma dentro ci sono persone come noi. Persone che soffrono”.
Tommaso Amadei, responsabile dell'area educativa del carcere di Spini, ha fatto notare come la crisi economica e la ridotta capacità di spesa dell'ente pubblico pesino sull'offerta di alternative al carcere, affidate al mondo della cooperazione. Basti dire che attualmente vi è una sola persona in regime di semilibertà. Ha ricordato come nel 2014 ci siano stati due suicidi, invitando però a vedere anche il positivo, l’albero che cresce.
Al dramma del suicidio in carcere ha fatto riferimento l'avvocato Fabio Valcanover (“Il carcere italiano ha tre volte la percentuale di suicidi rispetto al resto d’Europa”), chiedendo più attenzione da parte della politica. Valcanover, dopo aver ricordato che la criticità della situazione trentina era già evidenziata nella sentenza del Tar sul ricorso della precedente direttrice, ha avanzato la proposta di una direzione regionale delle carceri di Trento e di Bolzano. Una proposta che ha raccolto l'interesse dell'assessora provinciale alla salute e solidarietà sociale, Donata Borgonovo Re, che si è mostrata possibilista.
In chiusura, il confronto ha toccato il tema, tutto da esplorare, della riconciliazione tra vittima e autore del reato, ha rilanciato sulla necessità di insistere sulle pene alternative e ha invitato a creare ancora occasioni di confronto, di scambio di idee per dare una prospettiva alla pena, coinvolgendo il territorio, le imprese e il mondo della cooperazione per offrire opportunità di lavoro alle persone detenute. Perché ogni persona recuperata, è stato detto, è una vittoria per tutta la comunità.
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