Le spine del mare

Un monumento naturale inaugurato nel Giardino della Rosa dal vescovo Bressan con il vescovo di Lampedusa, mons. Montenegro, e l'imam Breigheche

Tre rose bianche del genere “Princess white” sono state piantate, venerdì notte 18 luglio, nel “Giardino della rosa” a Ronzone, Alta valle di Non, un comune di appena 500 anime che ha voluto dedicare ai 20 mila morti del Mediterraneo un piccolo monumento “vivente”, attraverso il ciclo naturale della riproduzione floreale. Le rose con il loro nome stanno ad evocare la Madonna, ma anche il candore dei troppi bambini immigrati morti in mare durante il tentativo di fuga verso l'Italia e l'Europa.

Un fabbro del luogo, Dimitri Borzaga, figlio d'arte, maestro nella lavorazione del ferro battuto, ha forgiato la prua di una imbarcazione come segno della memoria di gommoni, barche e carrette del mare affondate con il loro carico umano fatto di persone di tutte le età in fuga da guerre, fame, carestie e persecuzioni, che ormai si contano a migliaia, ma anche quale simbolo di speranza con le spondine metalliche elevate quasi a voler erigersi in difesa del ceppo da cui si dipartono le rose. Su una piastra di acciaio a mo' di leggio le parole di Papa Francesco pronunciate un anno fa, l'8 luglio del 2013 nel corso della visita a Lampedusa, con quel suo interrogativo “Adamo dove sei?”.

A ricordare l'evento e le tragedie che non paiono aver fine, vista la cronaca anche degli ultimi giorni che non conosce ormai più alcun limite all'efferatezza, da parte di scafisti e mafie varie, c'era l'arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro che con quello di Trento, Luigi Bressan, e l'imam Aboulkheir Breigheche hanno materialmente affondato nella terra le radici del rosaio. Tutt'intorno una piccola folla con gente venuta anche dai paesi limitrofi, ben rappresentati tra l'altro dalle autorità locali di comune, Comunità di Valle e Provincia che con il decano hanno promosso l'iniziativa.

A distanza di centinaia di chilometri, portata dal vento sono arrivate l'eco delle tragedie, le immagini di quell'unico flusso della speranza talora tranciato dai flutti, dalla tempesta o dall'insipienza degli scafisti, e nei giorni scorsi anche le testimonianze di alcuni superstiti, una settantina dei quali, come rifugiati, ha trovato accoglienza in una comunità vicina Castelfondo. Ronzone ha rappresentato il coronamento di una serie di incontri promossi per familiarizzare, nel tentativo di impostare una relazione oltre il formalismo o il dovuto per obbligo, basata su rapporti di comprensione, condivisione, solidarietà e per i più anche di fraternità. La dimensione della fratellanza ha fatto da filo conduttore per l'intera serata di Ronzone, con il vescovo di Lampedusa a ribadire come “non si voglia capire che dietro queste storie ci sono persone, gente che ha voglia di vivere, che viene da luoghi senza speranza, cercando da noi una speranza. Ma il mare per tanti è diventato una tomba, senza neanche un nome”. Implacabile la stoccata di Montenegro, maturata su fatti concreti, su sconfitte quotidiane, su chiusure ed assenze inconcepibili, su riluttanze, contro l'Europa “deludente”, che pensa solo al “salvadanaio”, che “non considera l'uomo al centro” delle proprie strategie politiche. Perfettamente in linea anche l'accusa di Bressan per il quale “Mare nostrum non è solo italiano”, ma dell'Europa intera, da amare sì, la quale tuttavia “ha perso l'anima”, la sua missione, presa solo dall'economia”. Per Bressan il buon cuore, l'accoglienza, la disponibilità da sole non bastano in quanto si tratta “di prevenire i fenomeni migratori con lo strumento della giustizia”, né si può pensare solo “a salvare i propri privilegi”. Per l'imam che ha parlato anche dei patimenti in Siria, delle sofferenze fisiche e morali patite anche da familiari in fuga, con donne in stato di gravidanza, durante il soggiorno in Libia prima di salire sulle carrette, “tutte queste morti sono colpa anche nostra, di chi può fare qualcosa e non lo fa”. Gli islamici stanno pure loro garantendo a Catania come a Trento ospitalità nelle moschee e nelle famiglie.

Sulla stessa lunghezza d'onda i pubblici amministratori. Per Donata Borgonovo Re, assessore provinciale alla salute e alla solidarietà sociale, la collettività è come il roseto, splendido balcone sulle Dolomiti, che vanta 400 specie diverse, 2 mila piante a comporre un mosaico floreale che riflette “una mescolanza di colori, storie, provenienze, fatiche e gioie”. “Prendere coscienza del proprio ruolo, di come vogliamo rispondere al dramma di questo esodo attraverso l'impegno e la memoria” è l'imperativo morale di Stefano Graiff, assessore alle politiche sociali della Comunità di Valle animatore di quest'operazione della memoria insieme al sindaco Stefano Endrizzi, con cui si propone di elevare il Giardino della rosa a luogo della memoria, delle rimembranze: lo scorso anno il ricordo era andato alle vittime della mafia, oggi a quanti fuggono da guerre e fame in cerca di accoglienza. Mohamed Ali, un rifugiato che ha trovato casa a Trento, ha ripercorso le tragiche tappe della sua fuga dalla Somalia alle coste italiane, fra donne in attesa di partorire in un disagio fuori da ogni regola nella calca dei barconi e fra bambini che cadevano in mare. Non ha smesso di ringraziare gli italiani. Altre testimonianze su fatti drammatici in Ruanda e nell'Estremo Oriente, sono state raccontate da lettori del gruppo “La storia siamo noi”. Il tricolore sventola accanto al piccolo monumento ai naufraghi: un segno di orgoglio – commenta il sindaco ospitante – “al contrario della bandiera europea da lisate a lutto”.

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