Il fotografo Gianni Zotta

Dal 1974 Gianni Zotta è il fotografo di Vita Trentina, per cui firma l’immagine di copertina e i principali servizi fotografici.

Da oltre mezzo secolo racconta con le immagini tutto ciò che succede, dalle alte vette del suo Trentino a piazza San Pietro, dove ha ritratto più di un Papa

Gianni, qual è il suo mestiere?

Faccio il fotografo.

Da quanto tempo fa questo lavoro?

Da oltre 50 anni, è un’attività che non si è persa nel corso degli anni.

Ha sempre avuto la passione per le foto?

Ho iniziato a fare fotografie quando avevo 13 anni e oggi ne ho quasi 74. Pensate a quanti anni sono passati e per quanto tempo ho portato avanti questa attività con entusiasmo, con amore e con determinazione.

In cosa consiste il suo lavoro?

Collaboro da 50 anni con Vita Trentina. Firmo le foto di copertina e i servizi fotografici del settimanale diocesano. Fotografia è una parola che deriva dal greco, e significa “scrittura di luce”. Ma ci sono tanti modi per dire cos’è la fotografia: i francesi, per esempio, sottolineano l’importanza del punto di vista, perché, quando si scatta una foto, ognuno vede le cose in maniera diversa dall’altro.

Perché fa questo lavoro?

Per me è il lavoro più bello del mondo. Perché mi porta a stare a contatto con tante persone, come i giornalisti o gli studiosi della storia dell’arte, e mi permette di scoprire tante cose. Un buon fotografo non si limita a fare le fotografie, ma deve conoscere cosa c’è dietro: le storie, i luoghi, deve sapere esattamente cosa sta fotografando, è in questo modo che si appassiona, ed entra in un mondo nuovo tutte le volte. E questo si può fare solo se si possiede una grande curiosità.

Qual è la foto più bella che ha fatto?

Ci sono tante fotografie che mi sono rimaste in mente. Collaborando con un settimanale cattolico ho avuto la fortuna di poter fotografare tanti papi. Forse la foto più emozionante è stata quella che ho fatto a Giovanni Paolo II sulla Marmolada, il 26 agosto del 1979. A quei tempi non c’erano le previsioni meteo precise di oggi, sono partito in una giornata molto calda, con il bel tempo, e quando sono arrivato su c’era burrasca pazzesca. Per scattare 4 o 5 foto sono dovuto stare all’aperto oltre i 3.000 metri per due ore, con il dubbio che il Papa non venisse perché la giornata era terribile. Non ho mai patito così tanto freddo.

Qual è stata la prima foto della sua carriera per Vita Trentina?

La prima foto non si dimentica mai: risale all’ottobre del ‘74, in Val di Non, vicino a Coredo, e documentava una violenta grandinata che aveva distrutto tanti frutteti della zona.

E qual è stata l’ultima?

Proprio stamattina, per un libro che sto preparando su Via Belenzani, all’interno di Palazzo Thun ho fotografato con il telefono un affresco molto bello che mi devo ricordare.

Ha fatto fotografie anche durante la tempesta Vaia?

È stato un evento strano, non credo che ci sia una fotografia che documenti il dramma che ha colpito la parte boschiva, la caduta degli alberi, il vento che soffiava a quasi 200 chilometri all’ora. Ho fatto diverse foto drammatiche nei giorni seguenti, immortalando le piante singole, isolate, rimaste in piedi come stuzzicadenti, e facendo un servizio a Dimaro, dove ha perso la vita una giovane mamma.

Quale evento che ha seguito l’ha emozionata di più?

Quando sono andato a Roma per l’elezione di papa Francesco. La sera che è stato eletto ho potuto documentare il momento di grande emozione in cui lui è uscito sul balcone, applaudito da tutta Piazza San Pietro.

Ha mai dovuto scalare delle montagne per fare delle foto?

La fatica più grande che ho fatto è stata per arrivare sulla Cima Tosa, perché c’è un pezzo di ghiacciaio e poi si scende in un canalone. Fino a 20 anni fa il fotografo andava in giro con una borsa rigida che conteneva apparecchiature grandi e pesanti. Non c’erano gli zainetti comodi di oggi.

Ha mai fatto fotografie all’estero?

Sono stato varie volte in Africa, in particolare ricordo un viaggio in Egitto, perché sono appassionatissimo della civiltà egizia. Ma ovunque si trovi, il fotografo deve essere attento alle tradizioni, alla cultura e all’arte di ogni luogo. Bisogna guardare al di là dello scenario costruito per i turisti e saper ritrarre la gente e la vita locale.

Ricorda la sua prima macchina fotografica?

La prima macchina fotografica che ho avuto era una macchinetta in plastica che ho comprato nel 1963 all’Upim. Poi mio cognato ha capito che mi piaceva la fotografia, e qualche tempo dopo mi ha regalato una reflex.

La sua famiglia ha appoggiato la scelta di fare il fotografo?

Mia mamma mi ha sempre supportato, mentre mio papà voleva che facessi il carabiniere come lui, perché sosteneva che facendo il fotografo non avrei guadagnato abbastanza. Ma alla fine ho potuto portare avanti questa passione.

Chi le ha insegnato questo mestiere?

Sono stato fortunato perché ho trovato un maestro stupendo, Flavio Faganello, autore di centinaia di libri. Sono stato apprendista da lui per 5 anni, e abbiamo mantenuto un bel rapporto fino a quando è deceduto nel 2005.

Qual è la cosa più importante che ti ha insegnato?

Era un uomo di poche parole, ma a proposito di montagna ricordo che mi disse una cosa in particolare: “So che tu vai in montagna, ma non è la montagna che cambia, è la valle. Quindi, se devi fare le foto, falle prima nelle valli, nei paesi, che nel corso degli anni si rivoluzionano. I paesi cambiano, scompaiono, mentre le rocce ti aspettano sempre uguali quando vuoi”. Aveva ragione, perché le foto del Campanile Basso che ho fatto all’epoca le posso fare uguali anche oggi, mentre le valli sono cambiate completamente.

Che consiglio dà a chi si avvicina alla fotografia oggi?

Di ricordarsi che dietro ad ogni fotografia deve esserci un ragionamento. Non bisogna scattare tanto per scattare. E che la fotografia vi porta alla conoscenza di ciò che fate. Se fotografate un fiore, una pianta, è importante sapere di che pianta si tratta, quindi la fotografia è uno strumento importante anche per crescere, per porsi delle domande, per aumentare le proprie conoscenze.

Intervista a cura della classe 1B della scuola media Arcivescovile

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