Agosto volge al termine e la politica riprende il movimento? Non si sa mai se siano segnali reali o segnali di fumo, ma certe nuove posizioni di Forza Italia, qualche timido ripensamento nel PD sulla sensatezza della politica del muro contro muro, nonché un notevole nervosismo della destra, specie di quella più radicale, che si sente spiazzata, sembrano lasciare qualche spazio ad una fase più costruttiva.
Ci sembra significativo che un certo cambiamento nel partito guidato da Tajani sia stato messo in moto da dichiarazioni della famiglia Berlusconi, le quali hanno invitato a tenere conto che ci voleva un approccio più aperto riguardo alla politica dei “diritti civili”. Il gergo è quello della politica corrente, ma la sostanza non deve sfuggire.
I Berlusconi sono imprenditori della comunicazione di massa e sentono gli umori del largo pubblico: percepiscono che le impuntature cosiddette “identitarie” (in realtà crassi pregiudizi di settori in ritardo sui tempi e spaventati dalle novità inevitabili) coinvolgono ormai una quota minoritaria della popolazione.
Spaccare l’opinione pubblica su questi temi non conviene a nessuno: il paese deve affrontare prove difficili e non può certo farlo in una situazione di zuffa continua (Salvini e compagni se ne facciano una ragione).
Come sempre i tentativi di ripresa di un confronto un minimo aperto si fanno su questioni che non toccano a fondo gli schemi di gestione del potere, tanto di quello della maggioranza, quanto di quello dell’opposizione.
Così il tema sul tappeto è quello della cittadinanza da riconoscere ai ragazzi immigrati che approdano precocemente nel nostro paese e che, complice il palcoscenico olimpico, possono anche farci guadagnare medaglie (ma è solo il vertice di un iceberg).
Ragionevolmente FI riesuma la proposta di legare la concessione automatica della cittadinanza a quei ragazzi che abbiano completato un congruo ciclo scolastico nel nostro paese, superando la impostazione astratta che voleva la concessione a chi comunque fosse nato in Italia: una soluzione che, sia detto onestamente, taglierebbe fuori chi arriva e si stabilisce qui essendo nato fuori, e renderebbe cittadino chi magari vi nasce transitando occasionalmente per dirigersi poi in altri paesi senza entrare veramente in contatto con la nostra vita nazionale.
L’opposizione di sinistra ha raccolto la palla, pur facendo mostra di acconsentire ad un “compromesso” rispetto alla sua tesi sul cosiddetto “ius soli”, e questo potrebbe mostrare che sul problema dell’adeguamento delle nostre leggi ad un sistema sociale in profonda evoluzione si può e si deve ragionare insieme. Lo è stato colto anche a livello della Lega dove il governatore Zaia ha avuto parole di molto buon senso al riguardo.
Ovviamente non mancano i giochetti politici a margine. Il leader pentastellato Conte ha abilmente approfittato della circostanza per intestarsi lo “ius scholae” distinguendosi da un PD che fatica a tenere sotto controllo le sue deviazioni gauchiste. Salvini, che teme la concorrenza dell’estremismo di Vannacci, alza barricate, ma soprattutto Giorgia Meloni appare sempre più incerta su come impostare la sua leadership.
La presidente del Consiglio non sa decidersi a prendere lei l’iniziativa di un ridimensionamento conservatore della sua formazione, timorosa di perdere il consenso di un bacino elettorale di destra radicale (e di un gruppo storico di suoi colonnelli che in quel clima si sono formati), ma al tempo stesso almeno vagamente consapevole che se va avanti su quella strada le sue possibilità di mantenersi al potere si ridurranno.
Per chi come lei ha intuito da tempo il ruolo chiave del posizionamento internazionale dovrebbe essere chiaro che per contare in quel contesto il salvinismo e le nostalgie della vecchia destra identitaria post fascista le sono d’ostacolo.
Scommettere sulla vittoria di Trump alle presidenziali americane è al momento puntare su una incertezza, ma anche nel caso vincesse è più che dubbio che il primo pensiero di “the Donald” sarebbe sostenere il governo italiano in caso di forti turbolenze anche solo a livello economico (basta leggersi il programma della sua politica doganale…). In ogni caso è nella UE che si giocherà una partita importante: c’è la questione del nuovo patto di stabilità e fra un po’ ci sarà il problema di ripagare il debito acceso per il finanziamento del PNRR, che non è tutto a fondo perduto.
Insomma ce ne sarebbe abbastanza per invogliare tutti, maggioranza e opposizioni, a tenere conto di una realtà che richiede coesione pur nel confronto. In termini ragionevoli, politici e non idilliaci ovviamente, cosa peraltro non semplice con quella che sarà una lunga stagione di scontri elettorali regionali da qui a metà dell’anno prossimo.
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