Per il Trentino la solidarietà finanziaria con il resto del Paese è già oggi un preciso obbligo statutario
Nell’ampio dibattito che si è sviluppato attorno alla nostra autonomia, dopo gli applausi al giornalista Enrico Mentana, qualche ulteriore sprazzo di luce merita il tema della finanza, attorno al quale si sono incrostate convinzioni fuorvianti. Uno degli aspetti da rivalutare è la solidarietà finanziaria con il resto del Paese.
Se n’è è molto parlato nelle recenti campagne referendarie in Veneto e in Lombardia, a proposito del cosiddetto “residuo fiscale” (ossia la differenza fra il complesso delle entrate e delle spese di tutte le amministrazioni pubbliche in ciascun territorio): quando è positivo significa che i cittadini di un territorio forniscono, attraverso i tributi, più risorse di quelle che sono loro restituite sotto forma di servizi pubblici. La differenza è evidentemente spesa in altre regioni, dunque rappresenta una forma di solidarietà, diciamo così, involontaria.
Per il Trentino – Alto Adige la materia della finanza è stata più volte oggetto di riforme, anche profonde. L’ultima è recente: l’accordo di Roma del 15 ottobre 2014, concluso fra il Governo e le istituzioni dell’autonomia, denominato patto di garanzia, definisce “un concorso strutturato in via permanente della Regione e delle Province autonome agli obiettivi di solidarietà, perequazione e riequilibrio della finanza statale”. Questo concorso, come spiega il Documento di economia e finanza provinciale 2016, è attualmente pari a 593 milioni di euro; dal 2018 decrescerà, per stabilizzarsi nel periodo 2019-2022 in 379 milioni, aggiornabili poi secondo la dinamica degli oneri del debito pubblico. Salvo intese per aumenti maggiori, questi importi potranno essere incrementati fino al 10% per esigenze eccezionali, e di un ulteriore 10% se l’Europa imporrà manovre straordinarie per il riequilibrio del bilancio. Tenendo conto che gran parte delle risorse provinciali, che pur ammontano a circa 4,5 miliardi annui, è vincolata ad esigenze imprescindibili (es.: personale, scuola, sanità, opere e investimenti in corso, manutenzioni ecc.), gli importi suddetti incidono non poco sulla finanza dell’autonomia. Secondo le stime ufficiali, essi riducono a circa 7 decimi e mezzo, anziché i nove previsti dallo Statuto, la quota di tributi pagati dai trentini che viene devoluta alla Provincia. Questo è il patto: si scrive “garanzia”, si legge “solidarietà”.
I contenuti dell’accordo sono stati trasfusi nel nuovo art. 79 dello Statuto speciale, che prevede anche il finanziamento di iniziative nelle zone confinanti: un testo ostico, denso di tecnicismi, che ribalta la versione originaria, la quale stabiliva il diritto delle Province autonome ad ottenere dallo Stato “contributi speciali”. In questa logica inversa si riflette l’incedere della storia: il Trentino e l’Alto Adige, fino alla fine degli anni ‘50, figuravano ancora tra le aree più deboli d'Italia, mentre oggi esibiscono livelli di reddito e di occupazione fra i più elevati, sicché ora dobbiamo essere noi ad aiutare gli altri.
Morale: per il Trentino la solidarietà finanziaria con il resto del Paese è già oggi un preciso obbligo statutario, introdotto per via pattizia. Teniamone conto, prima di farci prendere dalla smania di rottamare un modello temprato dalla storia, sorretto da una pluridecennale esperienza di governo e attualizzato grazie al senso di responsabilità di tutte le istituzioni coinvolte.
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