“Occorre pensare una proposta turistica diversa, seguendo linee di sviluppo, invernali ed estive, che vadano verso la sostenibilità”
La concorrenza mondiale, gli imprevedibili cambiamenti climatici, i nuovi valori sociali e le nuove pratiche di villeggiatura, la tecnologia sempre più predominante pongono nuove sfide al turismo montano, che, nell’“Anno internazionale del turismo sostenibile per lo sviluppo” voluto dall’Onu, interrogano i territori di montagna costringendoli a ripensare la loro offerta.
Lo ha ricordato la Sat nel suo congresso a Moena lo scorso fine settimana; lo ribadiscono, attraverso molteplici occasioni di confronto e di dibattito, due appuntamenti che con felice tempismo si sono aperti in questi giorni a Trento, quasi in contemporanea. Il primo è la Bitm – Borsa internazionale del turismo montano, che già nel primo appuntamento, mercoledì 27 settembre, negli interventi dell’assessore all'agricoltura, foreste, turismo e promozione, caccia e pesca della Provincia autonoma di Trento, Michele Dallapiccola, e del sindaco di Trento, Alessandro Andreatta, ha posto l’accento sul binomio sostenibilità e sviluppo.
Il secondo è “IT.A.CÀ – Festival del Turismo Responsabile”, che fino al primo ottobre offre molte opportunità per riconsiderare il viaggio non più solo come semplice vacanza, trasgressione e svago, ma come un’esperienza capace di offrire una sfida, un rischio, il desiderio di conoscenza e scoperta del mondo, vicino e lontano da casa, sintetizzando il tutto in due parole: “viaggio responsabile” (il ricco programma è qui: www.festivalitaca.net).
Proprio nell’ambito di IT.A.CA’, mercoledì 27 presso il Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento si è discusso di sostenibilità e turismo, a partire dai primi progetti di tesi basati sull’approccio interdisciplinare alla sostenibilità, affidati a studenti e studentesse della professoressa Mariangela Franch, coordinatrice della laurea magistrale in Management della sostenibilità e del turismo (MaST).
Docente di Economia all’Università di Trento, al congresso della Sat Franch ha bacchettato la pubblica amministrazione (“si concede ancora troppo agli interessi settoriali a discapito di quelli collettivi”), invitato ad abbracciare il concetto del limite e chiesto di introdurre, insieme al Pil, quale indicatore di ricchezza anche il Bes (benessere equo sostenibile).
Già nel 2007 le “tesi di Moena” indicavano di investire sulla stagione estiva. Oggi lei, con altri, può dire: “Avevamo ragione”.
E’ vero. Allora la stagione estiva sembrava del tutto residuale. Noi avevamo individuato la necessità di un completamento dell’offerta.
Viene da chiedersi se ha ancora senso, almeno per alcune località alpine, affrontare la mischia in un segmento turistico maturo e superaffollato.
Si ragionava già dieci anni fa sulla necessità di decomprimere i flussi nella stagione invernale distribuendoli su tutto l’anno.
E' un’alternativa realmente percorribile quella di un diverso turismo invernale?
Quello che dicevamo dieci anni fa, e che continuiamo a dire anche oggi, è che le aree e le valli che si sono sviluppate intorno al turismo invernale, beneficiando di investimenti pubblici enormi per la costruzione o l’ammodernamento di infrastrutture, hanno creato un indotto e possibilità occupazionali: da lì non si torna indietro.
Allora che si può fare?
Occorre limitare gli investimenti al rinnovo, all’ammodernamento degli impianti esistenti, ma non costruirne di nuovi. Una strategia di mantenimento. Sarebbe folle pensare di far recedere il turismo invernale su intere vallate che di questo vivono.
Nuovi impianti no, ma si torna a parlare di Serodoli, con gli impiantisti che premono per un allargamento dell’area sciabile a questo territorio di alto pregio naturalistico nelle Dolomiti di Brenta…
Ribadisco: non ha senso creare nuovi impianti, per diversi motivi. Prima di tutto, dovrebbero essere a quote più alte, per le conseguenze del cambiamento climatico.
E poi?
E poi perché la domanda di turismo invernale non cresce, si gioca in un’arena altamente competitiva e richiede una imponente e costosa attività di attrazione. Le Alpi sono straordinarie, ma altrettanto lo sono le montagne in Cile (dove gli impianti, tra l’altro, sono andati a costruirli i nostri produttori locali). Occorre invece pensare una proposta turistica diversa, seguendo linee di sviluppo, invernali ed estive, che vadano verso la sostenibilità.
In questo senso ci aiuta un caso concreto, la proposta – che ha fatto e fa discutere – avanzata dall’impresa La Sportiva di Predazzo, di smantellare gli impianti da sci del Passo Rolle. Un’idea che viola, osserva Italia Nostra in un documento su Passo Rolle, il dogma su cui si regge gran parte della "filosofia" turistica trentina: non esiste turismo alpino senza impianti e piste da sci.
I dettagli del progetto non sono ancora del tutto noti, ma la strategia che ci sta sotto va nella direzione giusta. Un conto sono le grandi aree sciistiche del Trentino, che vanno mantenute riducendone gli impatti (sul bilancio energetico ed idrico). Altrove, va benissimo smantellare un impianto che risponde poco alle esigenze del nuovo turista che scia, che vuole il carosello…
Eppure, lo ha ribadito a Moena, si concede ancora troppo agli interessi settoriali.
Sono gli interessi di un turismo invernale basato sugli impianti.
Quest’anno cade un anniversario importante, l’approvazione del primo Piano urbanistico provinciale (11 agosto 1967). Può essere l’occasione per qualche ragionamento che possa avere riflessi sul turismo montano?
Secondo me, sì. Quale turismo vogliamo per i prossimi dieci, quindici anni? Perché quella è la prospettiva temporale di un Pup. Si dice: puntiamo sulla qualità. Allora facciamola questa scelta. I numeri saranno più contenuti, ma riusciremo a mantenere quei fattori naturali di attrattiva che sono alla base del turismo. Perché se continuiamo a usare malamente il territorio, tra pochi anni queste aree non saranno più attrattive e il turismo crollerà.
E’ una partita culturale, prima che economica; concorda?
Culturale e politica. E’ il tempo delle scelte, come cinquant’anni fa è stato un tempo importantissimo di scelte che avevano visioni anticipatrici. Anche oggi bisognerebbe riuscire a fare scelte visionarie.
Qualche spunto, suggerito magari dalle tesi dei suoi studenti e delle sue studentesse, basate su un approccio interdisciplinare alla sostenibilità?
Si potrebbe chiedere al turista che viene in Trentino di versare un contributo ambientale per la compensazione delle emissioni di CO2 derivanti dal suo soggiorno. Non è solo responsabilizzante, può diventare un forte strumento di marketing.
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