“Vedrai che è uno scherzo”

Mons. Joseph Gargitter (al centro nella foto), un protagonista nella creazione della diocesi plurilingue foto archivio Vita Trentina

“Mi trovavo al mare nel mese di agosto del ’64. Nella Casa del clero a Marina di Massa. Verso le 14 arriva una telefonata. Io sto dormendo pacificamente. È la segreteria del vescovo di Bressanone. Al telefono don Josef Michaeler, che mi dice: ‘Il vescovo l’aspetta domani mattina alle 12’. Dico: ‘Ma come…’. Don Giovanni Costanzi mi fa: ‘Vedrai che è uno scherzo’. Ma alle 16 monto in macchina, una Seicento, e parto. Quando arrivo ad Aulla entro in un bar e chiamo Bressanone, ma senza farmi riconoscere: ‘È da lì che è partita una telefonata per don Giuliani?’ E Michaeler: ‘Sì, perché non è ancora partito?’. ‘Sì, sì, è partito…’” Chi racconta è mons. Lino Giuliani (Mezzolombardo, 1915 – Bolzano, 2006), a quel tempo, agosto 1964, parroco di Regina Pacis a Bolzano. Da pochi giorni Paolo VI, con la bolla Quo aptius aveva ridisegnato i confini delle diocesi di Trento e Bressanone e dato vita alla diocesi di Bolzano-Bressanone. Dell’evento, datato 6 agosto, ricorrono i sessant’anni. Un po’ in sordina. Ma “senza memoria non si va mai avanti, non si cresce senza una memoria integra e luminosa”.

Protagonista del percorso travagliato che condusse a quella storica decisione – la creazione di una diocesi plurilingue – fu Joseph Gargitter, dal 1952 vescovo di Bressanone, padre conciliare al Vaticano II, dal febbraio 1961 al maggio 1963 amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Trento, fino all’ingresso di mons. Alessandro Maria Gottardi.

Quel giorno di agosto la Seicento di un inquieto don Lino raggiunse Bressanone in ritardo e lui poté presentarsi dal vescovo solo alle due del pomeriggio. “Ho pensato di nominarla vicario generale”, gli disse Gargitter senza molti preamboli. Don Giuliani era pieno di dubbi e chiese di potersi consultare con tre persone fidate. Infine, accettò. Fu il vicario generale di lingua italiana della diocesi di Bolzano-Bressanone per i successivi 25 anni. Quel ruolo era solo uno dei tasselli di un progetto organizzativo che mirava a dare a tutte le componenti diocesane gli strumenti per partecipare pienamente alla vita della comunità. In una casa comune.

La nuova diocesi ebbe dunque alla base una visione pastorale lucida e ambiziosa. Favorire lo sviluppo di una comunità unica nel rispetto delle sue articolazioni linguistiche e culturali. Così lo stesso mons. Giuliani descrisse la strategia del vescovo Gargitter: “Il suo progetto di fondo, in linea con il motto pastorale Animam pro ovibus e in funzione di costruttore di pace e serenità, fu di attrezzare la comunità di lingua italiana di tutte quelle strutture pastorali che la togliessero da una impressione e da una condizione di inferiorità, rispetto al settore di lingua tedesca, nel quale si trovò improvvisamente inserita, calata a comunità minoritaria in seno alla nuova diocesi”. Tra i primi atti ricordati da don Giuliani la creazione di una curia bilingue (con direttori d’ufficio delle due lingue), la costruzione delle chiese necessarie per una Bolzano che aveva cambiato volto, l’istituzione del seminario minore di lingua italiana, l’avvio del settimanale diocesano Il Segno (divenuto mensile da qualche anno), l’indizione del Sinodo diocesano negli anni 1970-1973, lo spostamento effettivo della residenza del vescovo a Bolzano, nel 1972. Lo schema pastorale che fa procedere in via parallela la pastorale nelle due/tre lingue doveva essere propedeutico al passo successivo stabilito, cinquant’anni dopo, dal secondo Sinodo diocesano (2013-2015), che si espresse in modo chiaro rispetto alla riforma organizzativa e allo spirito in cui essa avrebbe dovuto essere attuata: “In Curia vengono unificati gli uffici oggi divisi per gruppi linguistici” (n. 418). Il provvedimento, a differenza di quello relativo ai Consigli pastorali parrocchiali, venne effettivamente attuato, per la parte dell’unificazione, cominciando dal settembre 2016.

La visione pastorale che ispira questo passo è sintetizzata nei punti 58 e 59 dei documenti finali del Sinodo: “Nell’ottica del bene comune, siamo tutti responsabili di tutti. Nelle comunità cristiane i membri di un gruppo linguistico sono corresponsabili anche per i membri di altri gruppi linguistici. Tutti coloro che sono attivi nella pastorale curano in modo particolare questo aspetto” (n. 58). Rispetto ai processi di unificazione, “ricerchiamo percorsi unitari, pur nel rispetto delle diversità. Apposite regole garantiscono la pari dignità e la corresponsabilità delle diverse componenti linguistiche, evitando l’appiattimento sull’una o l’altra tradizione” (n. 59).

Anche alla luce di quanto avviene in altre parti del mondo, la grande sfida è proprio quella di evitare “l’appiattimento sull’una o l’altra tradizione”, cosa che richiede la capacità e l’intelligenza di abitare la complessità, di trarne spunti generativi e di tradurre i principi in strategie, in stili e in regole a tutela dei gruppi minoritari (che sono sempre una ricchezza) e del bene comune.

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