Lo spunto
“Voglia di una vacanza veramente rilassante in un hotel per adulti, dove nessun bambino possa disturbare il tuo relax? Vuoi abbandonarti su un lettino e prendere il sole o leggere un libro senza essere disturbato da urla o capricci in un vero hotel child free?”. Così recita il portale in cui trovare gli hotel adults only italiani presenti sul sito sono più di duecento, ben 51 dei quali in Trentino Alto Adige; segue il Veneto al secondo posto con 24 strutture. È curioso e paradossale rilevare qui che proprio il Trentino è anche la regione italiana con la maggiore fecondità. Comunque i numeri, manco a dirlo, sono in crescita, in Italia come all’estero, e si moltiplicano di conseguenza le offerte turistiche “senza bambini”… E così per tanti ristoranti, alberghi, agriturismi, resort e perfino compagnie aeree (anche in volo i bimbi sono sempre meno graditi) la concisa definizione “no kids” è presto divenuta un’etichetta come un’altra. Come se fosse scritto gluten free o no animali o vegano…
Vittorio Filippi (editoriale del Corriere del Trentino, sabato 27 luglio)
I cartelli esposti negli alberghi anche del Trentino e dell’Alto Adige, che avvertono di non essere disponibili ad ospitare bambini e “garantiscono” ai clienti di non incontrarne nei loro soggiorni, vedono le due Province ai primi posti in Italia, ma costituiscono anche un segno amaro della decadenza della loro cultura sociale ed umana, facendole regredire al livello dei territori di “apartheid”, di esclusione e discriminazione. Richiamano alla mente gli Stati sudisti degli Usa un tempo, o il Sudafrica prima di Mandela, senza dimenticare realtà discriminatorie più vicine a noi negli anni delle dittature del XX secolo.
I cartelli sono una ferita che viene inferta anche a tutta una civiltà dell’accoglienza e della cultura alpina, con i soccorsi, i rifugi, il volontariato che la caratterizzano, ma anche con le pratiche antiche e umanissime di villaggi (come quello di Regnana), dove i bambini abbandonati e soli venivano accolti, cresciuti, curati dalle famiglie locali. Ed è brutto, davvero brutto che siano proprio le autonomie che più si vantano del loro territorio e del loro turismo, che fanno dell’accoglienza una risorsa anche economica, a trovarsi in prima fila per questa esclusione che tradisce le profonde radici di una sua originaria civiltà contadina e costituisce invece un marchio negativo, un “bollino nero” per chi la pratica, oltre che un insulto per chi la subisce.
Dire “no” ai bambini, infatti, va contro la vita, contro ogni speranza di futuro, un “no” inaccettabile per le discriminazioni che attua e che, a ben guardare, ancora una volta, finiscono per colpire le donne, le madri, non solo i loro piccoli. Magari con il cartello di ingresso vietato ai bambini si afferma di volerle aiutare, offrendo loro una vacanza senza strilli, capricci o incombenze gravose, ma non è così, perché ad essere discriminate sono le mamme, che già trovano sul loro percorso mille ostacoli nel contemperare una normale vita familiare, la nascita e la crescita dei figli ed il lavoro. Questo sta diventando sempre più un problema serio, non solo umano, ma sociale e politico. Ci si trova infatti in presenza di una denatalità preoccupante, ma anche di una regressione degli strumenti che negli anni scorsi alcune realtà trentine illuminate avevano posto in essere per una cultura “amica della famiglia” e per agevolare la conciliazione lavoro-famiglia, attraverso – ad esempio – gli asili nido aziendali. Ora, alcune di queste realtà li hanno aboliti, ma ciò penalizza non solo le madri, ma tutta la società e lo stesso sistema aziendale, che finirà privato delle professionalità delle donne con figli, costrette a cercare un lavoro altrove o valorizzare all’estero, come già stanno facendo molti giovani, la loro professionalità. E questo – va ben ripetuto – è un problema non solo umano, ma sociale e politico, su cui intervenire dosando adeguatamente incentivi e dissuasioni a livello pubblico.
A ben guardare i cartelli che vietano gli alberghi ai bambini contengono elementi non solo di sgradevole incultura, ma anche di danno autoinfltto agli stessi esercizi alberghieri ed a una comunità che si rivela con contraddizioni insostenibili.
Senza voler rimpiangere il “turismo sociale” di don Bepi Grosselli, il sacerdote che ai “valori” del turismo ha dedicato una vita, una missione e una passione (come dimenticare le “case vacanza” familiari e sociali che hanno fatto decollare il turismo in val di Fassa, come dimenticare la coralità che del turismo è l’anima?) di certo il futuro turistico del Trentino non sta nel promuovere “cinque stelle” per ricchi (con i prezzi che praticano non occorrono neppure i cartelli antibambino!) marginalizzando l’agricoltura (mentre in Alto Adige viene considerata un valore aggiunto) ed escludendo i piccoli, per i quali proprio l’albergo potrebbe costituire un’importante esperienza complementare, una scuola di vita, per insegnar loro a rispettare il personale di servizio, a non molestare gli ospiti con i loro capricci, a comportarsi bene. Che poi gli incontri umani in albergo possono spesso aprire nuovi orizzonti. Ci raccontava una famiglia di amici che proprio in un piccolo albergo di Fassa i figli, in lunghe giornate di pioggia, avevano imparato con gioia a giocare a ping pong da una coppia tedesca, mentre il figlio maggiore era stato iniziato alle prime mosse degli scacchi da un esperto diplomatico olandese.
Insomma, con quello che ha da offrire, con la sua storia e la sua cultura sociale il Trentino può ben esporre altri cartelli: “Benvenuti bambini”!
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