“In Trentino gli investimenti fatti non si traducono, ancora, in una maggiore crescita economica”
Potrebbe sembrare un paradosso. E forse lo è. In Italia ogni anno il gioco d’azzardo drena 80 miliardi di euro, 1.600 euro a famiglia, il 22% del “budget” mondiale. Eppure, da parte degli imprenditori, c’è ben poca propensione al rischio e l’innovazione latita. La suggestione, diciamo così, è stata suggerita da Sandro Trento, che con il capoluogo non ha a che fare per i natali, è infatti ciociaro, ma perché insegna all’università dove è ordinario di Economia e gestione delle imprese. Alle Acli di via Roma, a Trento, martedì 30 maggio, il professore è salito in cattedra per una conferenza (peraltro poco partecipata, erano in pochissimi ad assistervi, probabilmente complice il caldo torrido) nel corso della quale ha discusso con Alberto Mattei, assegnista di ricerca in diritto del lavoro all’università di Verona, sul tema “Tornare a crescere. Un ruolo per gli imprenditori”. E’ stata l’occasione, per Trento, di presentare il suo ultimo saggio, “Imprenditori cercasi. Innovare per riprendere a crescere”, pubblicato da “il Mulino” e scritto con Flavia Faggioni che ha studiato economia all’università di Trento e si occupa di economia delle imprese, sociale e sanitaria.
“Perché l’Italia torni a crescere – sottolinea Trento – è necessario che i suoi imprenditori trovino nuove soluzioni, nuovi prodotti, nuovi settori. Senza attardarsi su sentieri già percorsi. In sintesi, è necessaria maggiore innovazione, non solo investendo in nuove tecnologie ma, ad esempio, pensando forme originali di vendita dei prodotti e valorizzando le produzioni 'storiche', per così dire. Faccio un esempio, l’Italia ha un grande settore del mobile, eppure Ikea, svedese, spopola. Oppure, siamo il Paese del caffè, ma Starbucks, made in Usa, va forte. Bisognerebbe chiedersi perché”.
Prof. Trento, una risposta se l’è data?
“Innanzitutto va fatta una distinzione tra l’imprenditorialità innovativa e quella replicativa che ripropone soluzioni e modelli già conosciuti e sperimentati. L’impressione è che quest’ultima, almeno negli ultimi 15 anni, sia prevalsa, non facendo fare passi avanti nell’innovazione. E tutto ciò per un motivo. Essere innovativi è più rischioso e difficile e richiede, oltreché attitudine, che manca, delle condizioni di contesto (un settore finanziario capace di sostenere, capitale umano, competenze e conoscenze tecniche) che non sempre, in Italia, sono disponibili”.
E in Trentino?
“E’ una provincia interessante perché, negli ultimi anni, ha puntato molto sulla ricerca e l’innovazione. Una scelta lungimirante. C’è però un paradosso. Gli investimenti fatti non si traducono, ancora, in una maggiore crescita economica. Manca una nuova generazione di imprenditori in grado di cogliere le opportunità offerte dai centri di ricerca. Il ruolo pubblico è forte ma forse sarebbe meglio che i tanti incubatori d’impresa presenti sul territorio, le start up, si concentrassero in un paio di poli al massimo, evitando così la frammentazione delle risorse”.
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