L’idea è di recuperare quello che residua nel terreno dai trattamenti antiperonosporici
A conclusione di una stagione caratterizzata, almeno in Trentino da una forte pressione della peronospora della vite; in previsione di una possibile cancellazione del rame dall’elenco dei principi attivi da usare nella difesa da una crittogama che incombe sulla viticoltura da più di 130 anni e in particolare su viti allevate col metodo biologico; tenuto conto che in commercio accanto ai prodotti a base di rame da impiegare come anticrittogamici si trovano anche concimi ed integratori fogliari a base dello stesso metallo, i figli di terza generazione della Manica Spa di Borgo Sacco (Vallagarina) hanno organizzato una due giorni a tempo pieno per circa 200 fra tecnici di settore, rivenditori e clienti per confermare l’importanza del rame come strumento di difesa fitosanitaria in viticoltura e per rendere edotti i convenuti di quanto sta facendo e farà la ditta per la difesa dell’ambiente e la salute degli agricoltori e dei consumatori.
Nel programma della due giorni era compreso anche un convegno che si è svolto nella sala congressi dell’hotel Trento nel pomeriggio del 10 novembre 2016.
Titolo: “Strategie per la riduzione dell’impronta carbonica in agricoltura”. Gli organizzatori, avvalendosi della consulenza di Ivano Valmori, direttore del settimanale AgriNotizie, hanno collocato l’argomento che stava maggiormente a cuore all’azienda in un discorso più ampio riguardante appunto l’impronta carbonica e la sostenibilità in viticoltura.
L’intervento di Michele Manica (“Impronta carbonica e sostenibilità del rame”) è stato preceduto e seguito da tre relazioni magistrali: “I segreti dell’atmosfera del passato nelle profondità del pianeta” di Paolo Gabrielli, ricercatore presso l’Università statale dell’ Ohio; “L’impronta carbonica nel settore vitivinicolo: nascita e sviluppo di un concetto di sostenibilità credibile” di Marco Tonni dello studio di consulenza Sata; “Come evitare gli sprechi e ridurre le immissioni di CO2. Qualche pillola di futuro” di Andrea Segré, presidente della Fondazione Mach di S. Michele all’Adige.
Ivano Valmori ha animato anche una tavola rotonda che ha concluso il convegno riprendendo sul piano pratico i concetti esposti dai relatori. Ragioni di spazio ci obbligano a riferire solo l’idea base delle tre relazioni.
Da Paolo Gabrielli abbiamo appreso che dall’analisi del contenuto delle bollicine d’aria presenti nelle carote di ghiaccio dell’Antartide è possibile rilevare e quantificare il continuo aumento di CO2 nell’atmosfera che determinerà nei prossimi decenni un innalzamento della temperatura compreso tra 1 e 4 °C.
Marco Tonni ha fornito un prontuario completo di regole e procedure per i titolari di aziende agricole vitivinicole che decidono di adottare un programma di riduzione dell’ impronta carbonica.
Prendendo spunto dallo spreco di derrate alimentari dal luogo di produzione e/o allevamento alla tavola di famiglia e nella successiva fase di destinazione dei rifiuti, Andrea Segré ha detto che è necessario passare da una economia lineare (produrre per consumare) ad una economia circolare o del riciclo. Compreso il ritorno in circolo del rame.
Collegandosi al discorso introduttivo di Giulia Manica (”La natura ci sta a cuore e noi la sosteniamo” e “Manica rispetta la natura e chi la coltiva”), Michele Manica ha dimostrato come Manica spa affronta e gestisce il problema delle emissioni di CO2 e dell’Impronta carbonica. L’elenco proposto concretizza le modalità seguite per avvicinarsi a questo obiettivo: mitigare le immissioni di CO2 con i prodotti Manica; ridurre l’impiego di combustibili fossili; ottimizzare i processi produttivi; minimizzare la quantità dei rifiuti; riqualificare e innovare gli impianti di produzione; scegliere materie prime rinnovabili; seguire le regole della chimica verde che rispetta tutte le componenti dell’agroecosistema vigneto.
Calcolando l’impronta carbonica di tutti gli agrofarmaci Manica è emerso che produrli con rame 100% italiano e rigenerato (non proveniente da miniere, ma da rottami) riduce del 27% l’emissione di CO2.
Ha poi riassunto i risultati di un importante e complessa ricerca multidisciplinare affidata ad un gruppo di esperti internazionale durata 10 anni. Citiamo le evidenze più significative. Nei suoli a pH 7-8 il rame è il metallo dotato della solubilità più bassa. Il rame è trattenuto dalla sostanza organica del suolo e si accumula, ma non inquina la falda nei primi 5 cm. di terreno e neppure a 30 cm. di profondità.
I lombrichi nei terreni contenenti residui di rame non evidenziano cali di popolazione a meno che non si arrivi a distribuire l’equivalente di poltiglia bordolese o di ossicloruri di 40 Kg di rame ad ettaro. Il rame è indispensabile alle piante in quanto è parte integrante di enzimi respiratori. Non può mancare nella dieta umana salvo conseguenze letali. Impegni per il futuro: puntare su prodotti con basso contenuto di rame e arrivare finalmente a chiudere il ciclo recuperando il rame dal terreno per un suo ulteriore utilizzo.
Lascia una recensione