Fin dalla prima comparsa nei vigneti del Tirolo meridionale (1880) stagioni difficili e conseguenti infezioni gravi su foglie e grappoli si sono sempre verificate. Anche nella stagione in corso la crittogama ha lasciato il segno
Nell’edizione 1887 dell’Almanacco agrario, pubblicato per cura della sezione di Trento del Consiglio provinciale d’agricoltura pel Tirolo, nel capitolo che riporta la relazione sull’attività svolta nell’annata 1886, alla voce “Viticoltura” troviamo una nota che ben si adatta alla situazione fitosanitaria che si è verificata quest’anno nei vigneti del Trentino per quanto riguarda le infezioni di peronospora soprattutto sui grappoli.
Tecnici e viticoltori sono concordi nell’affermare che si è trattato di una annata da peronospora quale non si vedeva da tempo. In realtà è sufficiente rileggere le cronache viticole dei vari decenni, anche i più recenti, per avere invece conferma che annate di peronospora si sono sempre succedute a cadenza più o meno lunga. L’Almanacco del 1887 propone un breve,ma significativo, resoconto del III Congresso enologico austriaco di Bolzano (relazione di G. Bolle) che si è svolto nel 1886.
“La vinazza (uva lessa, scottatura), una malattia se non nuova per sé stessa, nuova per le proporzioni prese e divenute tali da riuscire ad un vero disastro per una nostra importante zona di produzione, La Valsugana, si aggiunse alle molte che travagliano la nostra viticoltura. Essa formò oggetto di esame e studio costante da parte di questa Sezione, la quale interessò specialmente l’istituto di S. Michele ad occuparsene, ed amiamo costatare che da quella parte non si mette ognor più dubbio alcuno che la vinazza sia né più né meno che un effetto della peronospora che sotto date condizioni di clima e di vitigni attacca gli acini dell’uva. Di fronte però all’estensione ognor crescente ed al fatto che in quest’anno tale malattia non sembrò rimanere un triste privilegio della Valsugana, ma si estese anche nella Val d‘Adige e in altri luoghi dando occasione a gravi lagni anche nel Regno d’Italia, il presidente della nostra Sezione credette di dovervi richiamare l’attenzione del terzo Congresso enologico austriaco radunato in Bolzano. Nella seconda sezione, predisposto il ritiro di una certa quantità di uve disseccate dalla vinazza da mostrare ai molti competenti che vi si trovavano radunati, ne descrisse i sintomi ed il conseguente rilevantissimo danno. Ciò diede occasione ad uno scambio di idee molto istruttivo. Da questo scambio risulta che se tutti ammettono un influenza più o meno diretta della peronospora, v’ha che non esclude una azione climaterica che determina appunto la scottatura o disseccamento degli acini”.
Esito della discussione fu la seguente risoluzione proposta dal presidente del Consiglio agrario provinciale Cav. Mersi, accettata a maggioranza e riassunta nei seguenti termini: considerato che il disseccamento degli acini si manifestò da alcuni anni sempre più diffusamente e nel corrente anno assunse le proporzioni d’un vero disastro; considerato che gli studi e le conclusioni fatte in proposito non diedero per anco risultati concordi, il congresso esprime il desiderio che l’eccelso I.R. Ministero d’agricoltura voglia disporre a che nelle regioni maggiormente danneggiate da questa malattia vengano assunti ulteriori rilievi e studi.
E’ di circa 100 anni dopo il citato congresso l’iniziativa di tre tecnici dell’ESAT presa nel 1989 e durata un decennio. Essa è descritta in un articolo a cura di Enzo Mescalchin, Mauro Varner e Flavio Mattedi pubblicato nel numero di giugno 1996 di Terra Trentina.
I tre tecnici hanno interessato circa 100 ettari di vigneto situati a nord di Trento coinvolgendo i viticoltori proprietari dei diversi gruppi di vigneti. Al verificarsi di ogni pioggia tecnici e viticoltori si riunivano per raccogliere dati utili e rendersi ragione visivamente del verificarsi o meno di infezioni da peronospora e dei risultati degli trattamenti, tenendo conto di molte variabili. Soprattutto della diversità di microclimi e della relazione fra durata della bagnatura delle foglie e dei grappoli e numero di sporulazione. Da 2 a 22 a distanza di poche centinaia di metri.
Risultato: il coinvolgimento dei viticoltori che venivano messi in grado di adottare ciascuno nel o nei propri vigneti il consiglio dei tecnici.
I due esempi storici contrastano nettamente con quanto è successo quest’anno. Diatribe ed accuse incrociate, malevole quando non anche prossime alla diffamazione.
Perché non si ha il coraggio, finita la stagione e tirati i consuntivi delle vendemmie, di dare vita ad un confronto di opinioni su dati ed elementi oggettivi per fissare linee operative per i prossimi anni?
Dare la colpa a persone o istituzioni e ai prodotti usati è troppo riduttivo.
Il prof. Attilio Scienza che conosciamo e stimiamo per la competenza e l’attenzione continua all’innovazione basata sulla ricerca esprime a commento dell’annata e del comportamento di chi si limita alla critica espone due considerazioni forti. Dire che il rame ha salvato l’uva nei vigneti biologici è mera e interessata speculazione. Abbiamo una gamma vasta e variata di principi attivi. Validiamoli preventivamente con ricerche e prove da parte della Fondazione Mach. Da ultimo, ma non per importanza: il progetto PICA di Cavit consentirebbe di adattare gli interventi antiperonosporici ai singoli microclimi anche nello stesso vigneto.
Perché abbiamo paura di volare?
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