C’è in giro qualche voce su una possibile crisi di governo che porti ad uno scioglimento anticipato della legislatura. Sebbene l’ipotesi sia costruita mettendo in fila una serie di dati fatto, la conclusione non ci sembra pienamente convincente.
Gli elementi che si mettono in fila non riguardano semplicemente il solito arrembaggio di Salvini al palcoscenico, cosa che crea indubbi problemi a Giorgia Meloni. Nel momento in cui la premier deve gestire la partita delle nomine europee non la aiuta certo essere identificata con un sovranista sbracato quale è sempre più il leader della Lega (con il contorno del suo vice).
Non si dimentichi che il commissario italiano proposto da Meloni ed accettato da von der Leyen dovrà poi ottenere il via libera dal parlamento europeo: cosa non scontata (famoso il caso di Buttiglione che fu rigettato) ed è facile immaginare che, nel clima di radicalizzazione che ora domina, potrebbe accendersi la voglia di fare un dispetto alla “destra”. Del resto qualche segnale di certe insofferenze lo si è scorto nella decisione del segretario Nato di affidare l’incarico di delegato per la questione mediterranea (incarico inventato dal nostro governo) ad uno spagnolo.
Se la premier è più che irritata per le intemerate salviniane (l’ultima è la dedica in senso anti islamista del raduno di Pontida alla celebrazione della battaglia di Lepanto), fa fatica a tollerarle FI. Tajani registra le prese di posizione dei fratelli Berlusconi che vedono male le virate sull’estrema destra, consapevoli che il mondo economico, di cui rappresentano una componente significativa, rigetta sbandate sovraniste e demagogiche che nuocciono ad una economia in moderata espansione.
Il non aver saputo gestire le trovate propagandistiche è una colpa che si sta ritorcendo sul governo. Il cedimento agli ideologismi leghisti sull’autonomia regionale differenziata ha portato all’apertura di una fase referendaria che sta spaccando il paese e che in realtà non giova a nessuno, perché la legge è scritta male e si rivela ingestibile come mettono in luce tutti gli analisti seri estranei al teatrino delle contrapposizioni manichee. La riforma sul premierato è anch’essa incartata per le debolezze e le contraddizioni con cui è stata concepita (anche qui per accontentare appetiti contrapposti nella maggioranza). Di nuovo i tecnici, dai costituzionalisti all’ufficio parlamentare sulla legislazione, hanno messo in luce i pasticci di cui è intessuta. Metterci mano risulta molto difficile, perché da un lato la maggioranza non vuol retrocedere ammettendo di avere sbagliato, e dall’altro le opposizioni ormai si sono arroccate sulla strategia di andare al referendum costituzionale.
Mettiamo da parte la questione della riforma del sistema giudiziario, il quale all’opinione pubblica appare a dir poco fuori fase (basta seguire i molti contraddittori casi di inchieste e di sentenze di cui si fa fatica a capire la razionalità), ma che al momento è ancora una nebulosa. Ricordiamo piuttosto che a settembre si dovrà mettere mano alla legge di bilancio in un quadro a dir poco complicato: le regole europee ci chiedono interventi di pesante razionalizzazione della spesa, ci sono pressioni varie per mantenere invece uscite che sono in parte clientelari, ma in parte anche necessarie, per quanto mal gestite in vari contesti (basta fare il caso della sanità). È un terreno che tocca molti interessi, sia corporativi, sia di giustizia sociale, e ciò significa incidere sul consenso.
Per queste ragioni alcuni osservatori credono che per Giorgia Meloni una crisi di governo sarebbe una via d’uscita dall’angolo in cui rischia di essere intrappolata. Lo pensano anche le opposizioni, che infatti scommettono sul premere l’acceleratore per portare all’implosione della maggioranza. Si pensa lo abbia intuito il corsaro Renzi che sembra vedere l’occasione per riproporre un tipo di strategia che gli consentì di contribuire ad affossare il Conte1 e poi ad essere l’architetto della liquidazione del Conte 2. Adesso si tratterebbe di costruire una grande ammucchiata di tutte le forze tagliate fuori dalla gestione politica del destra-centro (gestione sempre più famelica in fatto di occupazione di risorse) lasciando perdere le divergenze che ci sono fra le varie componenti (a quelle si penserà dopo…).
Ci sembra però che siano, tanto nella maggioranza quanto nelle opposizioni, tutti giochi di ruolo in una partita che al momento è ancora sulla carta.
La situazione tanto interna quanto internazionale è ricca di asprezze e non consente di trasformare facilmente i posizionamenti retorici in azioni politiche concrete (ma soprattutto efficaci).
Lascia una recensione