Buoni e salubri, nonostante le condizioni ambientali difficili. A determinarne la qualità sono tre fattori: l’erba pascolata, la flora microbica e la professionalità degli addetti alla filiera, appoggiati da tecnici e ricercatori
Nel 2014 il servizio veterinario provinciale ha svolto una serie di controlli per verificare le condizioni igieniche delle casere e il grado di sanità dei prodotti. I risultati ottenuti sono confortanti.
Non a caso tra gli itinerari proposti dalle comitive che, dopo avere visitato i padiglioni di Expo 2015, sceglieranno il Trentino come attrattiva di complemento, figura la via delle malghe. I gruppi avranno la possibilità di trascorrere una intera giornata su uno degli alpeggi scelti dagli organizzatori tra quelli che dimostrano nei fatti e con i prodotti i grandi progressi ottenuti negli ultimi anni.
“La via delle malghe” era anche il titolo di uno dei quaderni illustrati che Giuseppe Sebésta proponeva negli anni ’70 del secolo scorso ai visitatori della Mostra mercato dell’agricoltura di montagna. Negli anni ’50 in Trentino si allevavano 100 mila bovini. Uno per famiglia, massimo due o pochi di più. Allora le malghe erano indispensabili per permettere ai componenti della famiglia contadina che rimanevano in azienda il tempo per stare dietro alle coltivazioni arboree ed erbacee che pure davano reddito. Trascorrendo in alpeggio almeno due, talora anche tre mesi, le bovine consentivano di risparmiare il fieno di fondovalle per l’inverno. Le casère nelle quali si producevano formaggi, burro ed altri alimenti derivati, erano non solo fumose e buie, ma anche poco attrezzate e soprattutto non davano sufficienti garanzie di igiene e sanità. Non importava se i formaggi ed il burro erano poco presentabili alla vista e i cattivi odori e sapori nascondevano la naturalità del prodotto genuino. Non si vendevano, ma almeno si potevano mangiare.
Negli anni ’60 un agronomo professionista di Trento progettò e realizzò i primi lattodotti che tramite condutture di plastica veicolavano il latte dalle malghe ai caseifici di fondovalle. Si credette per qualche anno di poter finalmente abbandonare la lavorazione del latte nelle casère delle malghe. Ma il favore durò poco. Il latte che arrivava al caseificio di valle, a causa dei continui sbattimenti, aveva perso buona parte delle attitudini alla caseificazione.
Rispetto a mezzo secolo fa la situazione è cambiata sotto vari aspetti. Il numero delle bovine da latte è ridotto a 25-30 mila unità. Ma accanto alle razze rustiche quali la Grigia alpina e la Rendena oggi abbiamo razze di bovine molto più produttive, vere e proprie macchine da latte che d’estate rimangono nelle stalle. Le malghe vengono caricate in prevalenza con bestiame giovane o in fase di ridotta o assente lattazione. Le malghe censite sono ancora 700, ma quelle effettivamente caricate sono 453. Di queste solo 175 ospitano animali in lattazione. Quelle che dispongono di casère attrezzate per la lavorazione del latte sono meno di cento (85 sono quelle descritte nel volume “Malghe da formaggio” di Angelo Pecile e collaboratori della Fondazione Mach, 2010).
L’apprezzamento dei formaggi di malga negli ultimi anni è cresciuto in proporzione diretta con la qualità e le caratteristiche organolettiche. A determinarle sono sostanzialmente tre fattori: l’erba pascolata, la flora microbica tipica del luogo di produzione e la professionalità delle maestranze addette alle filiere che ricevono appoggio continuo e istruzione dai ricercatori di S. Michele e dai tecnici della Federazione provinciale allevatori. L’ottima qualità attribuita a queste specialità alimentari è tuttavia imprescindibile dalla sicurezza igienico sanitaria del prodotto. Questo si considera sicuro quando non arreca danno a chi lo consuma: non contiene corpi estranei, non risulta contaminato da sostanze chimiche dannose per la salute (residui di farmaci o prodotti usati per la disinfezione degli ambienti di lavoro), è esente da germi o sostanze da essi prodotte che possono causare malattie più o meno gravi al consumatore.
La normativa europea in materia di sicurezza alimentare fornisce al riguardo indicazioni, parametri, elenchi e procedure di controllo il cui rispetto rigoroso porterebbe ad un livello di garanzia e sicurezza quasi assolute.
In questo contesto si inserisce un programma di sopralluoghi e controlli in vivo e di laboratorio realizzato nel 2014 dal Servizio veterinario provinciale in collaborazione con la sezione trentina dell’Istituto zooprofilattico delle Venezie. Il programma era propedeutico alla predisposizione di un piano di monitoraggio che avrebbe dovuto assumere il carattere della ripetitività annuale costante. La sua esecuzione ha comportato una serie di controlli non solo sulle malghe, ma anche delle stalle di provenienza dei bovini alpeggiati e la raccolta di campioni di matrici alimentari (latte crudo, cagliata, formaggi a varie stagionature) e di tamponi effettuati su attrezzature e superfici di lavoro per un totale di 230 campioni in seguito sottoposti ad analisi. I risultati ottenuti sono confortanti, ma rimane confermata l’importanza determinante della professionalità degli addetti. Anche a prescindere dai controlli.
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