Lorenzo Bertoldi, laurea in agraria, inaugura la sua stalla nel centenario della Grande Guerra. La zootecnia in Vezzena è al bivio
La giornata di Lorenzo Bertoldi, 28 anni, laureato in agraria a Padova, fisico asciutto, velocissimo nei movimenti, dalla stalla all'ufficio, per controllare sul monitor del computer l'andamento della mungitura, un programma che gli consente di cogliere ogni sfumatura di quest'importante operazione che si svolge mattina e sera, al deposito del foraggio e del mangime, sul trattore per il trasporto del cippato, un miscuglio di fieno e granaglie macinate, nella doppia corsia dell'allevamento, al quadro comandi delle vasche di decantazione del liquame, inizia alle prime luci dell'alba.
L'azienda, a due passi dal Forte Belvedere, denominata “Mitria”, dall'omonimo masso erratico, a valle della frazione Piccoli, sul quale sono scolpite le mitre dei tre principati vescovili confinanti, ovvero di Trento, Feltre e Padova, è stata inaugurata in coincidenza con i 100 anni dalla scoppio del primo conflitto mondiale tra Austria-Ungheria e Italia, quando la popolazione degli altipiani fu costretta a lasciare le proprie case con un fardello di 5 chilogrammi di beni di prima necessità, a persona, e a trasferirsi, in treno, nella Bassa Austria dove rimase fino al dicembre 1918. La bisnonna di Lorenzo trovò rifugio nei lagher a Braunau, dove tra l'altro perse due figliolette appena nate, mentre il bisnonno Kaiserjaeger, perse un braccio in Galizia negli scontri bellici e a fine guerra trovò lavoro in comune come invalido.
In queste giornate assolate l'attività del giovane agricoltore, conclusa l'opera di pulizia nella stalla, consegnato il latte al caseificio sociale, si trasferisce nei prati e lungo le piste da sci per il taglio del fieno che dopo poche ore può essere trasportato nel moderno fienile. Si sfrutta per l'essiccazione il solleone di queste giornate eccezionali, risparmiando conseguentemente in energia elettrica per l'attivazione dell'impianto ad aria nel grande locale deposito, ultimo ritrovato della tecnica in soccorso dei contadini che in poco tempo, al chiuso, possono ottenere lo stesso risultato di ore ed ore di esposizione al sole ad essiccare, del fieno tagliato che richiede comunque diversi trattamenti prima di essere rinchiuso nelle grandi “balle”. Elettricità, mangimi ed acqua sono le voci maggiori che pesano sul bilancio. Il caldo di queste settimane costringe comunque ad azionare i ventilatori della stalla, mentre il consumo di acqua da parte del bestiame (una quarantina le lattifere, altrettante le manze, queste ultime fortunatamente dirottate in malga) è straordinario. Il giovane allevatore preferisce trattenere le lattifere in stalla per utilizzare al massimo il latte prodotto. Sui pascoli in malga la perdita è netta anche del 30-40%. Ci sono i mutui da pagare, spiega Lorenzo: un domani chissà. La vendita del formaggio, soprattutto Vezzena ristagna e quindi è necessario economizzare su tutto. In suo aiuto intervengono papà Bruno e lo zio Mario detto “Mato”, notissima figura degli Altipiani di Folgaria e Lavarone, uno dei quattro superstiti nella frazione “Piccoli” che di abitanti nei decenni passati ne contava più di 130, e la fidanzatina, esperta quasi come Lorenzo per le sue radici contadine. La mamma di Lorenzo, dirigente scolastica a Borgo, in pensione da qualche mese, sua grande sponsor, è stata stroncata da un infarto in primavera quando i lavori del complesso zootecnico potevano considerarsi conclusi. Ma i robot fanno la loro parte sostituendo parte della mano d'opera difficile tra l'altro da reperire. Dai pascoli, nel tardo pomeriggio, si ritorna in stalla per la mungitura serale.
La giornata per Lorenzo non finisce qui. Quale vicepresidente del Caseificio sociale è coinvolto nella gestione della società, in questa fase in conflitto con il Consorzio di secondo grado Concast di Trento incaricato della commercializzazione dei prodotti lattiero-caseari, nei confronti del quale i 12 soci del “Caseificio degli Altipiani e del Vezzena”, con sede a Lavarone Cappella e un punto vendita anche a Folgaria, hanno aperto una vertenza. Lamentano scarsa attenzione dei vertici federali verso il prodotto di nicchia, il formaggio Vezzena, sicuramente il più tipico e storico formaggio del Trentino, che nel secondo dopoguerra ha corso addirittura il pericolo di scomparire. Da qualche tempo si assiste invece ad una sua importante riscoperta, nel filone del recupero delle gloriose produzioni di nicchia del passato, ricche di tradizioni secolari, di genuinità, di sapori dimenticati e di qualità vera, come sostiene l'esperto del settore, Silvano Dalpiaz.
Col rilancio della produzione del Vezzena, e di altri formaggi tipici alpini, la cui origine si fa risalire al 1300 in coincidenza con lo sfruttamento degli enormi pascoli che si dilatano dai 1000 ai 1600 metri di altezza, la maggior parte, in quota, di proprietà del comune di Levico Terme, si profila anche il recupero e la forte ripresa dell'alpeggio con benefici per la collettività locale e anche dell'attività turistica. I dati parlano da soli. Nelle dieci malghe operanti in zona sono presenti 900 capi di bestiame, per lo più mucche, giovenche e vitelle.
A malga Fratte, gestita da 36 anni da Ferruccio Cetto, allevatore di Levico, maestro dell'arte casearia, accanto al Vezzena viene prodotta la “Caciota stufata”, che ha conseguito riconoscimenti a livello nazionale. Cetto fa un tutt'uno con le rivendicazioni della presidentessa del caseificio degli Altipiani, Marisa Corradi, titolare con il marito dell'azienda zootecnica “Sotto al Croz”, mamma di quattro figli, attivissima tra stalla, caseificio, spaccio di formaggi e altri prodotti tipici, che sta tenendo fronte al Concast, auspicando la normalizzazione dei rapporti se verranno accolte talune richieste.
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