Che impatto avrà sulla politica di casa nostra quanto sta succedendo in Francia? Guardiamoci dagli schematismi del tipo: si rafforza il vento di destra, vale anche per la nostra sinistra l’appello al nuovo fronte popolare e roba simile. Sono genericità buone per parlarne nei talk show, sempre più allineati al clima della radicalizzazione a buon mercato.
Il problema delicato sono le ricadute sullo schieramento di destra-centro che al momento sembra ancora tenere nei sondaggi per le elezioni nazionali. Ovviamente il tema non è tutto lì: dall’autunno si apre una stagione di elezioni regionali (subito Emilia Romagna e Umbria, poi l’anno prossimo la delicata partita del Veneto) e su quel terreno le prospettive per il cosiddetto campo largo del fu centrosinistra sono, almeno nei primi due casi, piuttosto favorevoli, mentre il Veneto è una bella incognita per i conflitti di potere nella destra. Se ci aggiungiamo la probabile battaglia per il referendum popolare contro la legge sulla autonomia regionale differenziata e quello della CGIL contro il jobs act, emerge un quadro piuttosto mosso.
In esso si pone la questione della tenuta di una alleanza di governo che gli eventi di Francia con le loro ricadute europee rendono problematica. Infatti la premier Meloni si trova in una situazione non certo agevole. Il duo Macron-Scholz, con vari supporti, ha operato per marginalizzarla nell’ottica di gestire una loro battaglia interna, pensando così di evitare che nel parlamento europeo potesse consolidarsi un polo di destra che oltre tutto avrebbe favorito la concorrenza italiana al loro traballante primato.
Al momento questa strategia non sembra andare a buon fine. Orban ha preso la palla al balzo ed ha promosso la formazione di un nuovo raggruppamento di destra, più radicale di quello della Meloni (ECR), anzi potenzialmente in grado di marginalizzarlo se sarà abbandonato dai polacchi che ne fanno parte e che sono avversari giurati del premier Tusk che fa parte della riconfermata alleanza alla guida della UE. Il nuovo gruppo, se riuscirà a costituirsi formalmente perché le regole europee in materia sono piuttosto complicate, è per il cosiddetto “motore” franco-tedesco assai più pericoloso della Meloni. Non solo perché può contare sull’appoggio di tre governi (ungherese, ceco, austriaco) e dunque pesare nel Consiglio Europeo dove molte decisioni vanno prese all’unanimità, ma anche perché sulla delicata questione dell’Ucraina è sostanzialmente filo-russo e con la possibile vittoria di Trump alle presidenziali americane di novembre la faccenda può diventare esplosiva.
Non si tratta peraltro solo di equilibri a livello UE, anche se sono elementi tutt’altro che marginali per i nostri interessi nazionali. All’annuncio del varo del nuovo gruppo dei “patrioti” di Orban, Salvini ha prontamente espresso l’intenzione della Lega di aderirvi. Non contento, si è buttato, secondo il suo solito, in attacchi sgradevoli e senza costrutto contro von der Leyen e contro Macron. Difficile non vedere il varo di una campagna che punta alla riemersione dell’ex “Capitano” dopo le cattive performance alle elezioni europee e nel contesto di una posizione sempre meno incisiva a livello di governo.
La metafora della spina nel fianco del progetto meloniano è scontata, ma si tratta di una spina sempre più grossa e dolorosa. Non punta infatti solo ad erodere consensi a FdI sulla destra, operazione che diverrà quanto mai importante nelle prossime elezioni regionali (una conferma del declino della Lega sarebbe per lui un colpo difficile da assorbire): ci si aggiunga il disegno di contenere la ricostruzione di FI che, forte anche di qualche canale con il PPE a livello europeo, sta diventando il traghettatore dell’arcipelago della destra fuori dal suo passato revanchista e nostalgico verso una riva di conservatorismo responsabile (il mito di Meloni nuova Merkel).
Che la maggioranza di destra-centro esploda in questa contraddizione è difficile, per la semplice ragione che il collante del potere è forte e a quello è arduo rinunciare. Una opposizione abile saprebbe scavare nelle contraddizioni dell’avversario, anziché contribuire a tenerlo insieme con la solita radicalizzazione retorica fra fascismo e antifascismo. Ma non sono tempi di dialogo e bisogna dire che su questo terreno anche Meloni è molto debole, perché ancora prigioniera della psicologia del brutto anatroccolo che deve prendersi la soddisfazione di rimarcare che adesso tutto è cambiato.
Le scosse sussultorie nel sistema politico italiano sono ancora attive e dovranno fare i conti con un contesto europeo ed internazionale sempre più complicato. Così non possiamo fare altro che seguire gli eventi puntata dopo puntata.
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