Archiviate le elucubrazioni sul voto europeo, è la volta dell’interpretazione da dare alla tornata di amministrative conclusasi lunedì scorso coi ballottaggi per i sindaci. In generale la situazione non si è modificata di molto: il centrosinistra aumenta di una decina di comuni il suo vantaggio sul centrodestra, che però rimane più o meno com’era. Fa naturalmente notizia l’affermazione delle coalizioni che facevano perno sul PD nelle grandi città capoluogo, ma tutto va inquadrato in un contesto più ampio.
Dal voto emerge la presenza di tre Italie. La prima, prevalente, è quella che non vota. Neppure la personalizzazione dei confronti come è nel caso dei ballottaggi la smuove, anzi si registra una flessione nella partecipazione (sebbene sia abbastanza normale al secondo turno, in alcuni casi la flessione è stata forte). La seconda è paradossalmente quella che si schiera, per fare una battuta, per l’usato sicuro: una tendenza conservatrice a confermare il colore delle amministrazioni uscenti. Ci guadagna il centrosinistra, ma sostanzialmente il PD, che ne aveva già un numero maggiore, però il centrodestra si conferma dove era già al governo dei comuni.
Ci sono evidentemente dei circuiti di “servizi” (e di “interessi”) che una amministrazione gestisce e la gente prima di rinunciare a quelli per avventure incerte ci pensa su due volte. Se si guarda ai risultati, si vede che in generale a prevalere sono figure che hanno connessioni con la gestione abbastanza tranquilla della cosa pubblica. Se gli avversari promettono miracoli, raramente vengono creduti, perché la gente tende a pensare che le situazioni esistenti non siano facilmente modificabili.
Qualche rara eccezione c’è, ma conferma la regola. Nella concorrenza a chi è già al potere (che non è semplicemente un uomo o una donna, ma un sistema di relazioni intrecciate fra partiti e rappresentanze di categorie) conterebbe molto avere dei candidati altamente credibili. Sembra però una missione impossibile: il centrodestra normalmente sbaglia i candidati, sia che si ostini a cercarli nelle sue fila, sia che si inventi improbabili personaggi civici (il caso di Firenze è emblematico). Peraltro non è che in casistiche analoghe si veda maggiore capacità nel centrosinistra.
Da una analisi generale emerge anche una terza Italia: quella che distingue fra i centri urbani e le realtà fuori di essi. Molte analisi tendono a dire che nel primo caso, in presenza di elettorati riferibili ad una borghesia cittadina maggiormente coinvolta nei dibattiti politici, prevale il centrosinistra, mentre nelle “periferie” con votanti che sentono più il peso della marginalità e che partecipano meno alle diatribe ideologiche ad avere la meglio sarebbe il centrodestra. Ci pare un’analisi un po’ stereotipata come interpretazione anche se certamente la presenza di due Italie che seguono orientamenti socio-culturali diversi è un fenomeno da studiare.
Detto tutto questo, rimane da valutare se e come questa tornata elettorale peserà sul futuro del Paese. Non ci aiutano certo a capirlo le consuete analisi di comodo che fanno i sostenitori delle varie parti in causa: a sinistra quelli che proclamano che la spallata contro il governo in carica è ormai prossima, sul fronte opposto quelli che magnificano il vento di destra che spirerebbe in Europa e che consoliderebbe il governo Meloni. Realisticamente c’è da dire che siamo ancora nel territorio degli assestamenti dopo le turbolenze degli ultimi anni.
Stiamo vedendo nei comportamenti elettorali un declino delle esasperazioni di parte, che però, non si capisce bene per quale ragione, continuano a tenere banco nella comunicazione pubblica. I “moderati pragmatici” in entrambi gli schieramenti raccolgono i maggiori successi. Alle amministrazioni si chiede una gestione accettabile dei molti compiti ordinari di cui sono gravate, piuttosto che faraonici piani per portarci verso nuovi, ipotetici orizzonti di gloria. Non si deve far caso al fatto che ormai ogni “moderato” non può fare a meno di lanciarsi ogni tanto in intemerate sul futuro: fa parte del copione, ma la gente fiuta quando è solo retorica che non avrà ricadute sulla gestione del quotidiano e lascia correre.
Vedremo chi fra le forze politiche sarà maggiormente in grado di comprendere il cambiamento di fondo che sembra percorrere una parte cospicua dell’opinione pubblica. I rispettivi gruppi dirigenti attuali hanno più di una difficoltà a riconoscerlo, perché sono al potere come risultato di una opposta rappresentazione della realtà. Ma prima o poi saranno tutti costretti ad adeguarsi.
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