I dirigenti della Coperativa Sant’Orsola parlano di passo necessario per restare sul mercato e assicurare reddito ai produttori
Nel recente incontro dibattito fra Mauro Fezzi, neo presidente della Federazione trentina delle cooperative e il prof. Michele Andreaus docente di economia aziendale all’Università di Trento sullo stato attuale e sulle prospettive della Federazione e dell’intera cooperazione trentina si è parlato anche del progetto “Villaggio dei piccoli frutti” promosso dalla Cooperativa Sant’Orsola. Si tratta di un nuovo stabilimento che sorgerà a Ciré di Pergine Valsugana su un’ area edificabile di oltre 12 ettari. La nuova struttura si svilupperà su una superficie di 2,6 ettari; altri 3 ettari saranno coperti da serre interamente dedicate alle novità di Ricerca e sviluppo. Sorgerà anche un giardino dei frutti di bosco: uno spazio vero e proprio di presentazione dell’azienda e dei suoi prodotti dedicato a turisti, scuole, consumatori, semplici curiosi desiderosi di conoscere queste delizie. Nello stabilimento si svolgeranno tutte le operazioni che costituiscono la filiera che parte dal conferimento dei prodotti e si conclude con la spedizione delle confezioni verso i mercati di destinazione. L’investimento previsto supera di poco i trentacinque milioni di euro. Il villaggio da solo, cioè senza contare la spesa di acquisto del terreno, ne assorbe 27. I lavori inizieranno entro il mese di aprile di quest’anno. La piena efficienza è prevista per il 2020.
Verso la fine del confronto coordinato da Pierangelo Giovanetti direttore del quotidiano l’Adige, il discorso è caduto sul progetto “Villaggio dei piccoli frutti”. Non poteva andare diversamente. Tenuto conto dei più o meno pesanti fallimenti di iniziative e progetti portati avanti da cooperative trentine, non solo agricole, basate su calcoli e previsioni che a distanza di tempo si sono rivelate esuberanti o che hanno cambiato segno per cause non previste o non sufficientemente valutate in fase di elaborazione.
Il prof. Andreaus si é dichiarato terrorizzato dalla scelta di raddoppiare la produzione e il fatturato estendendo la base produttiva anche fuori dal Trentino. Non è nel DNA dello spirito cooperativo trentino, ha detto, perseguire solo l’obbiettivo della quantità a scapito della qualità. L’opinione del docente ha suscitato una reazione istintiva e accalorata di Fabio Rizzoli ideatore del progetto.
Ha definito superficiale il giudizio del docente perché formulato sulla base di una pur legittima convinzione, ma senza avere esaminato il progetto e parlato con i promotori. Lo stesso giudizio ha espresso anche nei confronti dei giornalisti che si sono occupati del progetto con articoli spesso non sufficientemente documentati, magari anche corredati da dati inesatti.
Conosciamo fin nei minimi particolari la storia delle fragole e dei piccoli frutti del Trentino per averla vissuta anche dall’interno oltre che in veste di giornalisti agricoli, fin dagli anni ’60. Quando era l’associazione Club 3P ad occuparsi di ribes nero e di ciliegio acido. Abbiamo condiviso con Dario Pallaoro che negli anni ’70 ha proposto per primo di piantare fragole in Val dei Mocheni l’idea che le nuove coltivazioni potevano servire per mantenere la gente in montagna. Numerosi frequenti i contatti con la cooperativa Sant’Orsola ed in particolare con il primo direttore Ilario Ioriatti ci hanno consentito di vivere in diretta le vicissitudini e le alterne vicende che hanno contrassegnato i decenni successivi.
Negli ultimi mesi abbiamo più volte interloquito con i promotori del progetto che rappresenta indubbiamente una svolta epocale per la cooperativa Sant’Orsola. Proponendo loro di volta in volta una o più delle seguenti domande: estendendo l’area produttiva ad altre regioni (Veneto, Calabria, Sicilia) non ritenete di perdere il collegamento qualificante con il territorio di montagna soprattutto trentino?
Come può la Provincia di Trento concorrere al finanziamento della spesa (20% di 27 milioni di euro attinti dalla legge 4/2003) per sostenere un progetto che diventa di ambito nazionale o forse anche extranazionale?. Se la produzione di uno o più anni dovesse subire cali di quantità o qualità o se il mercato per un periodo anche limitato facesse registrare cali imprevisti di prezzo, i primi ad abbandonare le coltivazioni sarebbero i coltivatori a tempo parziale. Come farete fronte a questa evenienza? La collocazione del Centro di eccellenza non è marginale rispetto ad una sede più vicina ai grandi mercati, tipo quello di Verona?
Non serve citare i nomi di chi ci ha dato le risposte, peraltro pertinenti ai vari interrogativi. Erano tutte in campana, cioè collimavano e ripetevano gli stessi concetti.
La più importante ci sembra quella che definisce il progetto ”Un passo inevitabile per rimanere sul mercato e assicurare ai produttori di Sant’Orsola un giusto reddito”.
Di seguito le altre riposte.
Il mercato dei frutti di bosco sembra non conoscere crisi. A livello mondiale i consumi si attestano su buoni livelli. I frutti di bosco godono di un vissuto di immagine positivo anche per la valenza salutistica che li caratterizza.
L’obiettivo è raddoppiare i volumi aumentando le rese produttive e sollecitare l’ingresso di nuovi soci come in effetti sta avvenendo. Il riferimento preferenziale al Trentino rimane confermato. Assicurare la fornitura di frutti di bosco di origine italiana per 365 giorni all’anno con prodotti di soci. Lavorare sulle varietà e sulle tempistiche di produzione valorizzando le diverse aree produttive e migliorando i sistemi di conservazione. Sono questi gli strumenti che permetteranno di raggiungere l’ obiettivo. Godiamo di buona fiducia presso le banche.
Una domanda attende ancora risposta: perché non pensate a coinvolgere Melinda, la Trentina, Agri90 e Levico frutta nella vostra impresa? C’è solo la necessità di mettere in sequenza le epoche di raccolta o si frappongono chiusure preconcette?
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