Il cielo era sereno, non una nuvola in cielo, non un nembo grigio che facesse pensare a un prossimo temporale: era scoppiata la siccità!
«La siccità, cari miei, pesa sulla testa del contadino alla stessa stregua della carestia, della guerra e della pestilenza! Sono proprio queste quattro le maledizioni della vita!» ripeteva spesso il vecchio Agostino da Cadine, nato e cresciuto in una famiglia di contadini da generazioni, cioè praticamente da sempre.
Aveva ormai settant’anni, l’anziano agricoltore, eppure lo potevi incontrare ogni mattina all’alba – tranne la domenica e le feste comandate – che trotterellava sveglio e allegro lungo il viottolo che portava al suo campo giù, alla Coltura di Cadine, dove coltivava con amore le sue patate. «Le mie sono le patate più belle, più grosse e saporite che quelli di Trento possono comprare al mercato settimanale! Coltivate con passione da chi se n’intende!»
Agostino non s’era mai sposato. «A portar avanti il nome di famiglia ci pensano già i miei fratelli: io voglio invece essere libero come una rondine… Sono le patate la mia famiglia!»
In realtà c’era un piccolo affetto, nella vita e nel cuore di quel vecchio. A Cadine infatti, su, in pieno centro storico e dietro la chiesa, abitava Rosalba, un’anziana zitella con cui Agostino aveva giocato quand’erano bimbi, invano corteggiata quand’erano giovani e alla fine l’aveva accettata come tenera amica con cui condividere alcuni brevi momenti di gioia quando andavano assieme nel bosco a raccoglier more e mirtilli, oppure giù, sulle rive del lago di Terlago, a bagnarsi i piedi nell’acqua.
«Certo che tu, senz’acqua, non riusciresti a vivere, vero Rosalba?» le aveva detto un giorno Agostino, vedendo quanto la donna si divertisse a starsene per ore nel lago fino alle ginocchia.
«L’acqua è il dono più grande e più bello che il Signore poteva fare all’umanità» aveva risposto la donna in quell’occasione. «L’acqua lava, rinfresca, disseta, pulisce, ammorbidisce… l’acqua fa crescere le patate nel tuo campo, i mirtilli e le more nel bosco, i fiori nei prati, le mie verdure e le piante officinali nell’orto dietro casa… Come faremmo a vivere senz’acqua, Agostino?»
Quel giorno di fine luglio, però, il contadino si svegliò poco prima dell’alba con un macigno che gli pesava sul petto. Bastarono comunque solo pochi istanti per ricordare da dove veniva quella preoccupazione sorda: non pioveva da tre settimane di fila!
Agostino si buttò fuori dal letto con la velocità che gli permettevano i suoi settant’anni, andò ad aprire le imposte della finestra e… Il cielo era sereno, non una nuvola in cielo, non un filamento biancolatte che preludesse a una pioggerella salutare, non un nembo grigio che facesse pensare a un prossimo temporale…
La siccità! Era scoppiata la siccità!
In vita sua il contadino aveva sofferto la carestia… ricordava ancora i pianti dei suoi nipoti piccoli quando in tavola arrivavano un pezzo di pan secco e mezza patata lessa. Aveva patito anche la guerra, coi disastri e le morti che le correvano appresso. Aveva provato infine che cosa fossero il colera, la peste, le malattie che scivolavano di casa in casa mietendo vite umane, togliendo le forze, ammorbando l’aria e portando la morte in tutte le famiglie.
E adesso ecco la siccità, il calore dell’aria che toglie il fiato, che fa seccare le piante nei campi, brucia i fiori delle patate, prosciuga le fontane e lascia i ruscelli, i torrenti e i fiumi senz’acqua…
«Rosalba! Ha bisogno di me…» esclamò in lacrime Agostino cercando nella penombra della camera da letto i suoi vestiti.
Uscì di casa rituffandosi nel forno di un’aria immobile e bollente. Corse a picchiare alla porta di Rosalba, che abitava da sola in fondo alla sua stessa strada, ma l’amica non rispose. Andò allora al suo campo, magari la donna era andata anche lei a controllare le patate dell’amico… Alla Coltura non c’era nessuno e il campo giaceva silenzioso, assetato e moribondo nella prima luce del giorno, con l’erba ormai secca e le piantine riverse a terra. Morte!
Ma dov’è finita Rosalba?
Un pensiero terribile si fece strada proprio allora nella mente del vecchio. Si ricordò gli occhi illuminati e felici di quando la donna sguazzava nell’acqua del lago e le parole di gratitudine che aveva rivolto più volte al Signoriddio per quel dono fresco, pulito, dissetante… Finalmente capì e si mise a correre giù per il sentiero che portava a Terlago.
Rosalba era seduta sulla riva e aveva i piedi in quel che restava dell’acqua del lago, una fanghiglia scura che puzzava di marcio.
Agostino le arrivò alle spalle, si sedette accanto a lei e le prese una mano. La donna si girò a guardarlo negli occhi. Piangeva lei e cominciò a piangere anche lui.
Quello di Rosalba fu un sussurro: «E così adesso hai capito perché non ho mai accettato di sposarti, anche se ti ho amato fin dal primo giorno che ti ho visto, ed eravamo due bimbi alti così…»
«Sì, lo so da poco, ma adesso lo so…» rispose il vecchio. «Tu sei una figlia dell’acqua, le leggende e le storie dei nostri nonni vi chiamano Anguane: ecco, tu sei l’ultima Anguana sopravvissuta a mille siccità.»
«Buon vecchio Agostino, amore mio, alza gli occhi e guarda il cielo sopra la valle!»
L’uomo si asciugò le lacrime col dorso di una mano e… vide un temporale d’acqua fresca avvicinarsi veloce e rumoroso come una mandria di cavalli al galoppo… Cominciò a piovere sul lago, sulla valle, su Cadine e sulla Coltura, sulle patate del suo campo, sulla sua bella Rosalba che gli si strinse al petto e lo baciò – per la prima volta in vita sua – con le labbra bagnate di pioggia!
La siccità era finita e la vita sarebbe ripresa più bella e più forte di prima!
Lascia una recensione