Il “Bunker Valentin” è un enorme edificio di cemento armato, lungo 400 metri, largo quasi cento e alto trenta. Si trova a Farge, in Germania, poche decine di chilometri a nord di Brema, lungo le sponde del fiume Weser. Nei piani dei nazisti doveva diventare un inattaccabile cantiere navale con all’interno una catena di montaggio che ogni due giorni avrebbe dovuto assemblare un sommergibile completo, pronto per raggiungere il mare. La Seconda Guerra Mondiale è finita però prima che il progetto si compisse interamente.
Alla costruzione del “Bunker” lavorarono forzatamente sottoposti a condizioni intollerabili anche molti IMI, Internati Militari Italiani, fatti prigionieri dai Tedeschi dopo la firma dell’Armistizio dell’8 settembre 1943. Tra di loro anche alcuni trentini. Uno di essi, Elia Tomasi, di Mattarello, classe 1924, scomparso nel 2014, rientrò dalla Germania con un piccolo bloc notes con annotati alcuni nominativi e indirizzi di compagni di prigionia. E partendo da questi appunti il figlio, Maurizio Tomasi, ha recentemente avviato una ricerca, con un duplice obiettivo: contattare i congiunti di quegli IMI che condivisero lo stesso destino del padre e creare occasioni per far conoscere la loro drammatica storia.
Una prima serata per ricordare gli Imi trentini che costruirono il Bunker Valentin si è tenuta il 18 gennaio scorso a Storo in valle del Chiese, per iniziativa della sezione Ana e del Comune, mentre un’altra serata a loro dedicata è in programma venerdì 25 alle 20.30 presso l’Auditorium del Comune di Predaia, in via Barbacovi a Taio, in valle di Non. All’appello di Maurizio Tomasi, alla ricerca dei parenti di Renato Brida, di Priò, classe 1921, altro nome sul bloc notes del padre, hanno risposto i figli Danilo e Fiorello. Come già a Storo, la serata sarà aperta dall’intervento di Alessandro Giovannini, autore nel 2011 di una tesi di laurea sugli Imi trentini: 5.129 quelli rintracciati da Giovannini consultando i fogli matricolari dei militari di leva.
L’8 novembre 2015 il Bunker Valentin è diventato ufficialmente “luogo della memoria” e “centro di documentazione”, per rendere omaggio e giustizia a tutti i lavoratori forzati, prigionieri di guerra e deportati da ogni angolo d’Europa, che furono obbligati a costruirlo.
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