I protagonisti fanno rivivere fatti storici attraverso le loro lettere romanzate
Nel suo primo romanzo Il sangue e l’inchiostro Roberto Corradini raccontava di due fratelli, uno emigrato in Brasile sul finire dell’Ottocento e uno rimasto in Trentino.
Nel secondo, Gente Libera, narra le vicende della famiglia Libera, tra Ottocento e Novecento: di Donato Libera nato ad Ala nel 1844, dunque suddito austriaco, che a vent’anni è chiamato a combattere alla battaglia di Sadowa contro i Prussiani e che torna al suo paese dopo dodici anni, della figlia Valeria e del figlio Giovanni Battista.
Come nel primo romanzo, anche in questo l’autore adotta lo stile epistolare portando in scena i protagonisti attraverso le loro lettere che romanzate raccontano i fatti storici.
C’è nel libro tutta la poesia di quel foglio bianco, spedito al di là di un oceano o di un severo confine, di quando non c’erano altri strumenti a disposizione e che ci fanno scoprire quel senso di lentezza e di attesa che i ritmi della nostra epoca ci hanno fatto perdere.
Il racconto di più generazioni attraversano una lunga epoca, compresa tra il 1850 e il 1950, che hanno assistito ad eventi tragici e a grandi cambiamenti: due guerre, Trento che diventa italiana, l’avvento del Fascismo, l’emigrazione.
Nelle lettere dell’emigrazione, dove è descritta quella verso l’Argentina, c’è tutta la nostalgia per la terra che si è lasciata: in quella da “Buenos Aires di Giovanni Battista, datata 27 di maggio 1923” l’incipit si fa poesia: “come il naufrago lancia un messaggio in bottiglia, io ti mando al di là del mare questo mio scritto. Lo affido fiducioso alla sorte”.
Nello scorrere delle pagine c’è sempre un mondo che finisce e uno che inizia: alla fine del libro il Dopoguerra, nel capitolo “La Repubblica ha vinto e il re è andato in esilio”, nelle parole di Valeria, la lettera è del 15 luglio 1946, questo momento è descritto in tutta la sua carica di attesa e voglia di cambiamento: “Questi son tempi felici, di nuove speranze e di positive emozioni. Ora trionfa la pace e la vita ha ripreso il suo vecchio ritmo, ha ritrovato le sue umane dimensioni. In tutta Italia (e dunque anche a Trento) non si parla che di Ricostruzione”.
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