Lo Spunto
Continua sempre intenso e partecipato, anche a livello nazionale, il dibattito sulla ciclovia del Garda, la pista ciclabile con lunghi tratti previsti anche a sbalzo sul lago. Il confronto riguarda molti aspetti controversi del progetto sotto i profili economici e ambientali. Il più rilevante è l’instabilità geologica dei versanti che impone altissimi costi per assicurare una protezione (di cui alcuni tecnici mettono in discussione l’efficacia) dei tratti a sbalzo, sicuramente dirompenti sotto il profilo ambientale, non solo estetico, nei tratti paesaggisticamente più delicati e preziosi. Altre soluzioni alternative sarebbero possibili (e sono state già avanzate, come quella di integrare la ciclabile con tratti su battello), finora inutilmente. Qualcosa però si muove su questo versante. Il sindaco di Limone Risatti ha dichiarato che “quando c’è troppo pericolo bisogna cercare qualcosa d’altro” (l’Adige, 13 giugno). Sul tema è intervenuto con un interessante articolo, che qui riprendiamo, segnalato dall’architetto Manuela Baldracchi, presidente della sezione trentina di “Italia nostra”, anche il prof. Paolo Pileri, docente al Politecnico di Milano, per segnalare l’esempio della ciclabile lungo il Danubio, la più conosciuta d’Europa, come esperienza di cui il Garda potrebbe fare tesoro.
Fra le mille dichiarazioni pubbliche vendute come inconfutabili a favore dell’assurdo progetto della ciclovia del Garda c’è anche quella secondo cui i cicloturisti sarebbero idrofobi e quindi indisponibili a fare dei tratti in battello anziché in bici. Così si legge nella relazione del progetto di fattibilità: «per perseguire a pieno gli obiettivi “politici” della ciclovia del Garda, ci si è posti la sfida di realizzare un progetto che garantisca la ciclabilità sull’intero anello attorno al lago di Garda. L’avere dei tratti da by-passare con altri mezzi costituisce un ostacolo alla percorrenza e quindi riduce l’attrattività dell’infrastruttura. Infatti, il ciclista non ama smettere di pedalare e cambiare mezzo di trasporto, per le attese di imbarco, la bigliettazione, il dover togliere i bagagli, camminare con difficoltà per chi indossa le scarpe da bici, le attese, la tensione del dover rispettare un orario, ecc.» (p. 16). E con queste parole un tecnico della Provincia Autonoma di Trento ha parlato al Consiglio comunale di Riva del Garda il 26/03/2024: «il ciclista non ama scendere dalla bici. Il successo delle ciclovie del Trentino, anche quelle della Germania, della Danimarca, dell’Austria è quello di ridurre al minimo la multimodalità» (dal minuto 3:33:00 del video della seduta: www.video.istituzioni.tn.it/rivadelgarda/video/2771), dopo aver inopportunamente alluso al fatto che il tavolo tecnico operativo del ministero della mobilità (MIMS al tempo) suggerì la via d’acqua solo per risparmiare (non vero, e comunque risparmiare soldi pubblici non è un difetto di responsabilità civile, semmai lo è il contrario).
Proviamo qui a dimostrare che queste affermazioni sono prive di un supporto argomentativo e/o scientifico. Non è affatto vero che in Europa non ci sono casi di imbarco di cicloturisti laddove era impossibile o inopportuno realizzare una ciclabile appesa alle rocce che avrebbe deturpato il paesaggio e generato pericolosità. Vedi il caso della ciclabile più celebre d’Europa, quella del Danubio.
Nel tratto tra Weltenburg e Kehlheim, in Baviera, le sponde del Danubio si presentano rocciose e a picco sull’acqua, più o meno come nel caso del Garda. Se vogliono proseguire lungo il fiume, i cicloturisti devono per forza usare il battello. Nessuna critica di albergatori e del mondo social dove, al contrario, si invita a non perdere questa splendida opportunità di navigazione. Per gli ultra-affezionati del sellino allergici ad imbarcarsi, è riservato un giro più lungo e lontanissimo dal fiume (da Stausacker a Kelheim). Nessuna opposizione incaponita dei politici locali contro la tratta in battello. Nessuna richiesta per fare a tutti i costi una passerella sospesa sul fiume, o un tunnel o una galleria o un mini-viadotto sulle spiagge fluviali. Nessuna rete paramassi faraonica e super costosa, nessuno sfregio al paesaggio, ma solo navigazione piacevole e molto apprezzata. Ora: se tutto ciò accade lungo la famosa ciclabile del Danubio il cui successo non si mette in dubbio, perché mai non dovrebbe funzionare sul Garda? A meno che tutta l’insistente propaganda gardesana sia solo una mera operazione del peggior marketing turistico a sbalzo sui conti pubblici, sul paesaggio e sulla incolumità dei passanti. Chissà che ora il ricco nord lombardo-veneto-trentino non voglia far tesoro delle scelte di chi ne sa di più e interrompere questo progetto pericolosissimo. Ma al momento paiono imperterriti e per rafforzare la loro ostinazione sventolano pure l’impossibilità a tornare indietro poiché sono stati già sottoscritti gli impegni contrattuali. E invece, si possono eccome rescindere i contratti e nessuno vieta di rinunciare al finanziamento pubblico. Non sarebbe una resa, né una umiliazione della politica. Ma solo saggezza di chi governa che finalmente si rende conto, grazie agli approfondimenti e ai dibattiti con terze parti, che l’idea iniziale non regge più come qualcuno pensava. È super spiacevole dirlo, ma a questo punto il male minore rimane ancora quello di pagare delle penali il cui peso sociale e ambientale è senza dubbio inferiore alla spesa pubblica che si prospetta all’orizzonte tra incertezze, disastri e manutenzioni. Per non dire poi del guaio non monetizzato della rovina di un paesaggio unico come quello del Garda.
Riassumendo: non è vero che non esistono ciclabili di successo turistico che abbiano rinunciato a tratti in battello (pure meno costosi). Diciamolo ai politici, ai tecnici e anche ad alcune associazioni di amatori della bicicletta. Magari tutto questo li solleciterà a guardare ad alcune alternative praticabili, meno costose e molto, molto più sicure della sciagurata iniziativa di passerelle e tunnel in falesia previste dalla ciclovia del Garda. Lasciate perdere la ciclabile del Garda nei tratti dove morfologia rocciosa e spondale richiede troppo ardimento progettuale e produce un forte disastro paesaggistico.
Paolo Pileri
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