Il premierato batte un colpo

La prima pagina del quotidiano “Avvenire” di mercoledì 19 giugno

Il primo passaggio per il varo della riforma costituzionale sul premierato si è concluso martedì 18 giugno con l’approvazione al Senato del testo predisposto dalla ministra Casellati (in una versione un poco rimaneggiata) con 109 voti a favore, 77 contrari e 1 astenuto. Tutto come previsto, anche se l’iter sarà ancora lungo, ma solo nel passaggio alla Camera che avverrà fra tre mesi ci sarà ancora spazio per rivederlo. Se prevalesse la logica del muro contro muro si avrebbe una sostanziale ratifica del testo approvato dai senatori e rimetterci mano risulterebbe quasi impossibile.

Il ministro per i rapporti col Parlamento, Ciriani, ha dichiarato di sperare in un dialogo con le opposizioni nel prossimo passaggio a Montecitorio, ma non c’è da farci gran conto. La manifestazione indetta dalle opposizioni la sera stessa di martedì scorso è pensata come il preludio di una contrapposizione durissima, il cui obiettivo non può che essere il referendum confermativo: una pessima scelta, perché significa far promulgare intanto una cattiva legge senza sapere come saranno gli umori dell’opinione pubblica e le circostanze generali quando si andrà alle urne fra alcuni anni (continuando a tenere conto che il referendum confermativo non ha quorum…).

La radicalizzazione dello scontro politico con la classica contrapposizione in nome della destra contro la sinistra (in un momento in cui c’è parecchia confusione sia in un campo che nell’altro) è un trend che si sta imponendo in Europa. Lo si sta vedendo anche nei negoziati per la sistemazione dei vertici dell’Unione Europea dove la tendenza di quelli che avevano il potere sinora a conservarlo senza cedere nulla è presentata come un argine al montare della reazione. La quale reazione indubbiamente c’è, mentre è più che dubbio che la si fermi con lo sventolio di vecchie bandierine in mano in molti casi a personaggi non proprio carismatici (per non dire in alcuni casi abbastanza debolucci).

Quale sia l’interesse delle forze politiche italiane di portare legna a questi roghi non si capisce. La destra non dovrebbe avere alcun vantaggio a radicalizzare le sue posizioni, perché sarebbe una strategia che le impedisce di espandersi. La sinistra a rincorrere la ricerca delle barricate a sua volta si avvita su sé stessa, perché da spazio ad una ordalia interna alla ricerca di chi è più puro per epurare gli altri. Così si mette a rischio la possibilità di sfruttare un momento abbastanza buono per la nostra economia il che potrebbe consentirci di rimettere in sesto il nostro equilibrio sociale che invece è in fase critica.

Certo si può ragionare come fa Landini tuonando in televisione: non parlateci di crescita dell’occupazione quando i salari sono così bassi. Peccato che nessuno gli replichi: ma allora è meglio avere tanti disoccupati in attesa di salari migliori che non si sa quando arriveranno? Ma naturalmente tutto è polemica e di conseguenza valgono solo gli slogan.

La preoccupazione per riforme indubbiamente mal congegnate come sono quella sul premierato e quella sull’autonomia differenziata è più che fondata, ma questo dovrebbe spingere a sfidare gli allegri apprendisti stregoni che le manovrano proponendo soluzioni migliori per le problematiche a cui si deve rispondere in tema di riforme istituzionali. È un tentativo che viene fatto in modo quasi velleitario da minoranze illuminate, mentre domina la ricerca del grande scontro che ci si illude, a destra come a sinistra, spazzerà via l’avversario.

Le incognite di questo modo di affrontare i nodi che indeboliscono il nostro sistema politico e sociale sono molte e pericolose. In un quadro internazionale che continua ad essere preoccupante, con la vicenda ucraina che non si sblocca, col Medio Oriente che non si riesce a pacificare, con la montante sfida al cosiddetto “Occidente” sia da parte di paesi che perseguono loro disegni imperiali, sia da parte di una crisi culturale che interessa tanto l’Europa quanto l’America del Nord, ci sarebbe la necessità di serrare le fila e di mettersi a cooperare per una rinascita della nostra convivenza civile.

È una utopia? Non dovrebbe esserlo se la nostra storica razionalità non è scomparsa per sempre. Senza applicarla, difficilmente supereremo in modo creativo e soddisfacente il tornante storico che abbiamo davanti e che richiede donne e uomini capaci di visioni (razionali) e di azione (realisticamente riformatrice) e non capi-popolo che si credono i nuovi messia.

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