Sofia Corradi, ideatrice del programma Erasmus, racconta l'importanza per gli studenti universitari di fare un'esperienza di studio lontano da casa
“Tornano invece mille cittadini del mondo, con un’esperienza di vita adulta, anche per il solo fatto di dover far quadrare un bilancio”
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“L’espressione Costruttori d’Europa, utilizzata come dedica per il vostro Premio Degasperi, me la sento addosso. Non ho fatto l’Europa ovviamente, però un contributo mi sembra di averlo dato.”
Si confida così Sofia Corradi nel cordiale colloquio con Vita Trentina in piazza Duomo poche ore prima di ricevere in Sala Depero il Premio internazionale Alcide Degasperi 2018. “Mamma Erasmus”, come è ormai nota in quanto ideatrice del programma europeo di studi, è stata scelta in questa ottava edizione dall'autorevole giuria composta dai direttori delle più importanti testate italiane, coordinate dalla Provincia e dalla Fondazione Degasperi attraverso il segretario Paolo Pombeni.
84 anni, compiuti proprio nel giorno del Premio, la pedagodista romana ripercorre la curiosa genesi di Erasmus: tutto è iniziato nel 1969 quando, al ritorno da un anno di studio alla Columbia University di New York, Corradi si è vista rifiutare il riconoscimento degli studi che vi aveva compiuto. Quando è riuscita a laurearsi, però, transitava da un lavoro all’altro, arrivando a svolgere mansioni che le piacevano di più e che erano meglio retribuite. Un vantaggio che i suoi compagni di corso rimasti in Italia non avevano.
Da lì è nata l’idea di generalizzare l’esperienza, osteggiata inizialmente dalla burocrazia ed appoggiata invece dai grandi scienziati, tra i quali il matematico Alessandro Faedo, allora rettore dell’Università di Pisa. Assieme a Faedo, Corradi ha presentato il suo progetto al ministro Ferrari Aggradi. Anche se l’idea non diventata subito legge, nel 1987 Sofia Corradi ha visto realizzarsi il suo sogno: quell’anno, infatti, è nato l’Erasmus vero e proprio. Un programma che ha incoraggiato l’integrazione europea ed ha dato un contributo alla pace fra i popoli, permettendo, dal 1987 fino ad oggi, a 5 milioni di giovani di viaggiare attraverso l’Europa.
Come ha elaborato l’idea dell’Erasmus?
Ho sempre adottato un sistema: quando si ha poco potere, per riuscire a prevalere sull’avversario, bisogna essere più preparati di chiunque altro. Allora io studiavo tutte le legislazioni europee su questo argomento. La mia arma era lo studio di ogni norma. Si tratta di uno strumento potentissimo, soprattutto per i giovani.
Qual era la resistenza principale all’Erasmus, all’inizio?
Il riconoscimento degli esami. Di borse di studio, infatti, ce n’erano anche allora.
L’università, però, quando decide di voler partecipare all’Erasmus, deve procurarsi l’”Erasmus Charter”, che è come il passaporto per poter “giocare” a Erasmus. In questo documento il rettore s’impegna a riconoscere gli esami, nella stessa maniera in cui chi prende la patente s’impegna a rispettare le norme sul traffico. Poi naturalmente c’è tanta gente che non dà la precedenza ai pedoni sulle strisce. Però, intanto, non è che le università dovrebbero riconoscere gli esami: devono.
In sintesi, anche per rispondere a qualche critica che talvolta ricorre rispetto a una possibile “distrazione” dell'anno di studio lontano da casa, a cosa serve l’Erasmus?
L’Erasmus non serve ad imparare le lingue straniere. È vero che l’erasmiano trova lavoro, ma non perché sa le lingue straniere. Lo trova perché è una persona con una marcia in più, con un atteggiamento d’interesse verso le altre culture.
L’Erasmus non è neanche un premio per i migliori studenti, o almeno non per i migliori in senso accademico. Infatti anche chi non rientra nella graduatoria iniziale, all’ultimo momento, quando tanti si ritirano, può essere preso.
Non serve neanche per imparare meglio la professione. Se fosse soltanto una questione professionale, si potrebbe far venire soltanto il professore. Tornano invece mille cittadini del mondo, con un’esperienza di vita adulta, anche per il solo fatto di dover far quadrare un bilancio.
Lei ha studiato Giurisprudenza, però è anche pedagogista. Da dove nasce questa passione per l’educazione?
Ho studiato Giurisprudenza, obbedendo ai miei genitori. In realtà, inizialmente volevo fare Medicina.
Mi sono specializzata nel diritto del bambino all’educazione. Sono andata alle Nazioni Unite a studiare il diritto all’educazione come diritto umano fondamentale.
Questo perché mi piace occuparmi di ciò che cresce. Ho una passione per il giardinaggio, perché da acqua, terra e concime nasce una pianta con dei fiori meravigliosi. E’ un po’ la stessa cosa con i ragazzi. Tu insegni, gli indirizzi, ma poi fiorisce una persona che tu neanche potevi immaginare. È il lavoro più soddisfacente che esista al mondo, perché dai poco e ricevi molto. Anche nell’Erasmus si danno un po’ di soldi, l’iscrizione ad un’università, l’organizzazione delle equivalenze per gli esami; dopodiché, tornano dall’esperienza dei ragazzi formati, “fioriti”.
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